(OGM, sostenibilità e mistificazione/1, OGM, sostenibilità e mistificazione/2)
Sementi Bt: è vera gloria?
Se la lotta alle infestazioni vegetali ha creato parecchi grattacapi ai fautori degli OGM, quella contro i parassiti animali, legata all’introduzione di sementi modificate per produrre la tossina insetticida Bacillus thuringiensis (Bt), rappresenta invece il loro fiore all’occhiello. Non a caso, i sostenitori europei della transgenesi impostano la loro ‘battaglia di civiltà’ facendo leva principalmente su questo tipo di colture.
Io stesso in passato, pur mostrandomi impietoso con le colture resistenti agli erbicidi, ho riconosciuto a quelle Bt di aver rispettato le attese. Non potevo negare quella che sembrava a tutti gli effetti un’evidenza lampante, almeno per come veniva presentata.
Fonte: Science Magazine
Il trend descritto nel diagramma, mostrante un decoupling assoluto tra output produttivo e input di agrofarmaci, se verosimile tratteggerebbe chiaramente un percorso in direzione della sostenibilità.
Ingenuamente, sopravvalutavo l’onestà intellettuale (o la preparazione sull’argomento, in caso contrario) di molti sostenitori degli OGM. Infatti, tanti difensori delle sementi HT che biasimano (talvolta a ragione) chi disquisisce genericamente di erbicidi in termini di quantità utilizzata, quando si ragiona sulle Bt non sentono la necessità di entrare nei dettagli, lasciando così intendere che ogni merito per la riduzione di insetticidi vada attribuito alla transgenesi. Avrei dovuto invece stare molto più in campana e drizzare le antenne di fronte a descrizioni un pochino più articolate, come la seguente:
Somministrazione di insetticidi sul mais USA (Fonte: Perry e altri 2016)
Approfondendo un pochino di più, avrei facilmente scoperto che alla voce ‘seed treatment’ (‘trattamento della semente’) bisogna leggere ‘neonicotinoidi’. Cioé qualcosa a cui raramente (per non dire mai) gli alfieri degli OGM alludono nelle loro apologie, in un gioco delle tre carte possibile anche perché, almeno fino al 2014, l’USDA non conteggiava i trattamenti alle sementi nel suo database dei pesticidi*.
Prima di concentrarsi sulle sementi Bt, è fondamentale esaminare le problematiche relative ai neonicotinoidi per riflettere seriamente sulla sostenibilità dell’agricoltura statunitense sul versante della lotta alle infestazioni.
Neonicotinoidi: speranze, delusioni e pericoli
Se nel campo degli erbicidi chimici non si assiste a particolari novità da trent’anni a questa parte, i neonicotinoidi – antiparassitari sistemici neuroattivi chimicamente simili alla nicotina – hanno invece per molti versi rivoluzionato il settore degli insetticidi. Tutto ha avuto inizio nel 1985, quando la Bayer ha commercializzato il primo ritrovato (imidacloprid), il boom di vendite globale è invece esploso nel nuovo millennio quando sono stati rilasciati anche clothianidin e thiamethoxam.
Agli esordi, furono salutati quali amici di salute e ambiente poiché, a differenza dei pesticidi tradizionali, sono più selettivi, essendo infatti studiati per colpire specifici percorsi neurali degli invertebrati, diversi da quelli dei vertebrati (umani compresi); per di più, la tossina insetticida rimane attiva nel suolo o nella pianta per molti mesi (o addirittura anni), proteggendo il raccolto per tutta la stagione. Benché si possano applicare sulle foglie, vengono più spesso adoperati per la concia delle sementi, un caposaldo della cosiddetta ‘agricoltura di precisione’. Consiste nell’applicare in maniera localizzata sul seme (e non in campo aperto) i principi attivi finalizzati a contrastare l’azione dei patogeni, risparmiando così sulle dosi.
Purtroppo, dopo essersi affermati a livello planetario, sono gradualmente emerse evidenze di pericolosità per gli insetti non bersaglio (in particolare api e impollinatori), per l’avifauna insettivora e sono stati avanzati seri dubbi anche sulla salute umana, nonché sui mammiferi in genere. I rischi legati ai neonicotinoidi sono particolarmente gravi non solo per i lunghi tempi di permanenza nell’ambiente ma anche perché, essendo relativamente idrosolubili, si disperdono con facilità negli habitat acquatici.
Rappresentazione schematizzata della contaminazione da neonicotinoidi sull’ambiente in seguito a concia delle sementi (fonte: ENVIS Centre on Plants and Pollution)
Nel 2013 la UE, seguendo le indicazioni dell’EFSA, ha dapprima limitato clothianidin, imidacloprid e thiamethoxan proibendoli su alcuni tipi di coltivazione (tra cui mais, colza e girasole), poi nel 2018 ne ha bandito in toto l’uso all’aperto. Significativamente, appena varate le restrizioni il consumo di insetticidi nell’Unione, prima in forte calo, è tornato vertiginosamente a salire, chiara testimonianza della capacità dei neonicotinoidi di influire sull’utilizzo di altri ritrovati. E’ presumibile che, senza i divieti, il trend decrescente registrato fino al 2013 sarebbe proseguito.
Oltreoceano, invece, a parte una limitazione per i parchi naturali varata nel 2014 dall’amministrazione Obama (poi ritirata sotto Trump), non sono state prese particolari misure cautelative. Pertanto, il loro apporto ha consentito di contenere drasticamente prodotti più datati, in particolare quelli a base di organofosfati e carbammati, i quali presentano livelli di tossicità acuta elevati ma una ridotta emivita nell’ambiente, da pochi giorni a qualche settimana al massimo.
Consumo di pesticidi statunitense del 1992 e del 2014 a confronto (Fonte: DiBartolemeis e altri 2019)
Tossicità dei neonicotinoidi
In trent’anni, al trend calante della massa di insetticidi statunitense si è accompagnato purtroppo un incremento del livello di tossicità per api e altri insetti che rendono importanti servizi ecosistemici, causato principalmente dai trattamenti per mais e soia a base di neonicotinoidi e piretroidi, come evidenziato da una ricerca pubblicata nel 2019 su Plos One. I ricercatori hanno elaborato un indice apposito definito AITL (Acute Insecticide Toxicity Loading), per porre in correlazione la quantità di agrofarmaci somministrata alle singole colture e la tossicità acuta di ogni prodotto sulle popolazioni di impollinatori, stimandone così la mortalità potenziale.
AITL per contatto in base a classi chimiche di insetticidi e alla loro applicazione sulle diverse tipologie di sementi (DiBartolemeis e altri 2019)
AITL per somministrazione orale in base a classi chimiche di insetticidi e alla loro applicazione sulle diverse tipologie di sementi (DiBartolemeis e altri 2019)
Syngenta, azienda produttrice del thiamethoxam, in uno scarno comunicato accusa lo studio di “semplificare eccessivamente l’uso dei pesticidi” e “non fornire una stima adeguata dell’esposizione”, nonché di circoscrivere l’indagine agli effetti sulle api. Tuttavia, un articolo apparso nel 2020 su Nature, a parte qualche distinguo, conferma sostanzialmente le evidenze di pericolosità. La ricerca Perry e Moschini 2019, pur adottando una metodologia di calcolo del rischio differente che minimizza gli effetti collaterali dei neonicotinoidi sulla fauna, riconosce come le attuali somministrazioni di insetticidi sul mais implichino per le api un grado di tossicità almeno pari se non superiore a quello di inizio anni Novanta.
Fonte: Perry e Moschini 2019
Mais Bt e neonicotinoidi
I tre neonicotinoidi oggi ostracizzati nella UE sono largamente impiegati negli USA sulle colture di mais (più del 90% dei terreni, un dato che da solo vale il 60% del consumo totale) e soia (più del 50% degli ettari dedicati), nonché sul cotone.
Fonte: Douglas e Tooker 2015
Edward Perry e Giancarlo Moschini hanno stilato un rapporto per la Iowa State University avente per oggetto la ricostruzione dei trattamenti antiparassitari somministrati al mais tra il 1998 e il 2014. Tra i vari aspetti esaminati spicca il fatto che, oggigiorno, più del 95% delle colture Bt adotta la concia delle sementi con neonicotinoidi.
Fonte: Perry e Moschini 2019
I dati riportati parlano chiaro: se il calo di trattamenti ai carbammati si può ascrivere legittimamente alle sementi Bt (essendo anteriore al 2004), lo stesso non può dirsi per quello di organofosfati, piretroidi e altri composti, i quali addirittura aumentano nel 2001-2004, per poi iniziare ad abbattersi in maniera considerevole in corrispondenza dell’avvento dei neonicotinoidi, la cui successiva diffusione è stata più rapida di quella delle varietà Bt.
Nel 2010, quando i trattamenti convenzionali hanno raggiunto il picco di minimo, le varietà Bt costituivano il 70% circa sul totale delle coltivazioni di mais, mentre la concia delle sementi riguardava quasi il 90% di esse. Da notare che, se con il trascorrere degli anni è calato notevolmente l’uso intensivo (massa per ettaro) degli insetticidi, quello estensivo (ettari di terreni sottoposti a trattamento) con i neonicotinoidi è cresciuto a dismisura, con tutte le conseguenze che ciò può comportare nell’esporre gli ecosistemi a questi agenti chimici.
Dopo il record di abbattimento del 2010, le varietà Bt si sono espanse fino a costituire il 90% del totale, dopodiché la riduzione dei trattamenti a base di organofosfati ha raggiunto un plateau, mentre sono cresciuti quelli di piretroidi e fenilpirazoli, chiaro segno dell’insorgere di fenomeni di resistenza sempre più marcati. Per contrastarli, alcuni esperti hanno consigliato di ridurre la quota di mais Bt introducendo un corrispettivo di seminativo convenzionale pari al 50% delle coltivazioni modificate per produrre una tossina e del 20% per quelle che ne emettono due (Tabashnik e Gould 2012), indicazioni più stringenti delle raccomandazioni iniziali dell’EPA (rispettivamente 20% e 5%). E’ stato altresì suggerito di ripristinare la pratica di ruotare mais e soia, in gran parte accantonata con l’introduzione delle varietà transgeniche, a cui è seguita pure una minor diversificazione delle colture, creando così condizioni ideali per la proliferazione di agenti patogeni (Lightfoot 2018).
Tossina Bt o neonicotinoidi: chi prevale?
Nel complesso, Perry e Moschini ritengono l’impatto dei neonicotinoidi maggiore di quello delle sementi Bt nell’abbattere il consumo di insetticidi tradizionali (“our findings suggest that NeoST [concia delle sementi con i neonicotinoidi, n.d.r.] adoption has been more instrumental than Bt trait adoption in contributing to the large observed reduction in conventional insecticide use”). Un paio di evidenze sembrano confermare tale ipotesi.
La prima riguarda la performance del mais non modificato, che nel giro di un decennio ha sostanzialmente eguagliato quello OGM, fatto di norma descritto quale ‘beneficio collaterale’ derivante dalla diffusione delle coltivazioni transgeniche.
Fonte: USDA 2014
Tuttavia, il mais convenzionale inizia repentinamente a migliorare le sue prestazioni antiparassitarie a partire dal 2005, ossia in coincidenza con l’introduzione massiccia dei nuovi trattamenti.
La seconda constatazione deriva dal caso britannico, dove non sono stati adottati gli OGM ma i neonicotinoidi si sono celermente imposti da metà anni Novanta in poi.
Consumo di neonicotinoidi in Gran Bretagna (Fonte: Simon-Delso e altri 2014)
Nel 2012, 75,6 tonnellate (su 87,2 totali) erano destinate alla concia dei semi, che complessivamente constava per il 93% di neonicotinoidi (Simon-Delso e altri 2014). Parimenti a quanto avvenuto negli USA, il consumo di altri pesticidi si è notevolmente ridotto (vent’anni dopo l’introduzione dell’imidacloprid, il consumo di organofosfati risultava tagliato dell’87% e quello di carbammati del 51%).
Molto significativo il contributo della concia delle sementi di cereali nel comprimere i prodotti tradizionali: nel 2014, il loro apporto rispetto al 1994 è stato inferiore dell’83%.
Fonte: FERA PUS STATS
Cotone Bt
Per quanto riguarda il cotone, la principale differenza nell’introduzione delle varietà Bt rispetto al mais risiede nel fatto che l’imidacloprid è stato impiegato fin dall’inizio dell’era OGM.
Fonte: USDA 2014
Somministrazioni di imidacloprid (a sinistra) e thiamethoxam (a destra) sulle colture USA (Fonte: United States Geological Survey – dati 2015-17 della concia di sementi di mais e altre colture non disponibili per il thiamethoxan)
Somministrazioni di dinotefuran sulle colture USA (Fonte: United States Geological Survey)
Dai dati sopra esposti si possono sostanzialmente trarre due indicazioni:
- nel 2000-02 è avvenuto un consistente crollo del consumo per ettaro di pesticidi tradizionali, in un periodo in cui sia la diffusione delle colture Bt sia l’uso di imidacloprid è rimasto sostanzialmente stabile;
- dal 2002, dopo l’introduzione del thiamethoxan prima e del dinotefuran poi, ugualmente a quanto accaduto con il mais i trattamenti a base di neonicotinoidi hanno subito una rapida applicazione. Si notino i consumi sostenuti anche dopo il periodo coperto dal rapporto USDA, ossia dal 2010 in poi, con il cotone transgenico oramai giunto al 90% sul totale.
Conclusioni
Tiriamo le somme di queste tre puntate dedicate all’agricoltura USA e al ruolo degli OGM nella ricerca della sostenibilità, analizzando i tre indicatori presi in esame per ogni puntata:
- impiego di fertilizzanti di sintesi – Il trend dei nutrienti mantiene un carattere di chiara insostenibilità. Alle sementi transgeniche, di per sé, non si possono attribuire colpe, si evitino però proclami inneggianti a una loro presunta maggior produttività;
- consumo di erbicidi – L’obiettivo dichiarato delle sementi HT era di ridurre l’impiego per ettaro e fare del glifosato il prodotto nettamente maggioritario, eliminando gradualmente i ritrovati più vetusti e pericolosi: a 25 anni di distanza, si consumano più diserbanti e, pur migliorando alcuni profili di tossicità rispetto all’era pre OGM, altri rimangono critici perché diversi principi attivi già vietati o fortemente limitati in Europa sono ancora ampiamente adoperati. Inoltre, le colture di mais e soia non modificate si segnalano per risultati analoghi nel contenere il danno ambientale e sanitario: ciò fa comprendere l’insensatezza dell‘idea, sostenuta dal business delle biotecnologie, di contrastare le nuove erbe infestanti attraverso sementi OGM studiate per resistere a erbicidi più nocivi del glifosato per salute e ambiente (come dicamba e 2.4-D);
- consumo di insetticidi – Dal 1996 a oggi, la massa di insetticidi adoperata è chiaramente decresciuta e sono stati ridotti in maniera consistente prodotti di cui era già nota da tempo la pericolosità acuta (soprattutto organofosfati e carbammati). Benché una certa narrazione attribuisca i meriti prevalentemente alle sementi Bt, molte evidenze lasciano intendere che il ruolo prioritario sia stato ricoperto dall’introduzione su vasta scala dei trattamenti ai neonicotinoidi; in ogni caso, una propaganda pro OGM che ostenti i risultati statunitensi omettendo ogni riferimento alla concia delle sementi è da considerarsi ignorante o ingannatrice. I molteplici studi evidenzianti i danni arrecati dai neonicotinoidi ad api e insetti pronubi, nonché ad altre specie animali e forse anche all’uomo – che hanno indotto la UE a vietare l’uso all’aperto di questi ritrovati – fanno presupporre che il grado complessivo di sostenibilità dell’agricoltura USA su questo versante non sia granché migliorato rispetto al passato, ma che si sia solamente spostato il problema da un versante a un altro.
*Si legge infatti in Pesticide Use in U.S. Agriculture: 21 Selected Crops, 1960-2008 (2014), pag. 65:
As a result of increased adoption of Bt corn by U.S. farmers for insect control, insecticide use
declined steadily from 0.24 pound per planted acre in 1996 to 0.15 pound by 2000 and 0.05 pound
in 2008. Insecticides accounted for only 2 percent of total pesticide pounds applied to corn in 2008
(app. fig. 4.1 and app. table 4.1). However, these estimates do not account for the increased use
of insecticide seed treatments with such materials as neo-nicotinoids (for example, imidicloprid,
clothianidin, or thiamethoxam), applied at very low rates, because seed treatments are not included
in the USDA or proprietary data.
Bisogna quindi tarare opportunamente affermazioni come la seguente (pag. 23):
Insecticide use has declined for both Bt adopters and nonadopters in recent years. According to ARMS data, only 9 percent of all U.S. corn farmers applied insecticides in 2010.
Questo scenario idilliaco è inficiato dal fatto che nel 2010 quasi il 90% delle coltivazioni di mais aveva ricevuto trattamenti a base di neonicotinoidi.
https://nuovabiologia.it/le-due-facce-di-crispr-cas-tra-ricerca-e-tecnocrazia/
All’orizzonte si profila l’uso del “gene drive” per il controllo o meglio l’eliminazione di intere popolazioni di organismi in natura.
Non male come ricerca, ma, come al solito, mancando delle informazioni di base, ne trae conclusioni sbagliate.
Non ho molto tempo e nemmeno voglia di spiegare il tutto (ci vorrebbero parecchi libri e centinaia di articoli), ma proverò a farle notare l’inizio della pag 20 di questa tesi di laurea che mi ha inviato mio cognato (apicoltore e grande esperto di api): è lo stesso che ha brevettato da poco un dispositivo per trattare facilmente la varroa con innocuo acido formico.
http://tesi.cab.unipd.it/50507/1/Bertoncello_Michele.pdf
Secondo lui, come per tanti altri apicoltori che conosco, i neonicotenoidi possono anche essere una causa della CCD, ma estremamente secondaria rispetto alle varie parassitosi (Varroa destructor in primis), nosemiasi, e le varie virosi che ne conseguono.
E negli USA ad un uso improprio delle api come impollinatori su monocolture estese, dove alla fine muoiono letteralmente di fame. Negli ultimi anni, almeno in Europa i danni più considerevoli sono stati dati da repentini cambi climatici, probabile conseguenza del GW. Un amico francese, anche lui apicoltore, qualche anno fa mi faceva notare che la Francia (che da anni, come in tutta l’UE ha proibito i neonicotenoidi e nonostante questo ha visto una notevole diminuzione delle api) stesse importando sempre più miele dai paesi dell’Est Europa, in particolare dalla Ucraina, e anche dalla Cina e Argentina, tutti paesi dove usano i neonicotenoidi e producono sempre più miele. Lo stesso amico, mi faceva notare come nell’UE sia permesso un prodotto pericolosissimo per le api: lo Spinosad, usato soprattutto dai Bio(il)logici e che ha una DL50 orale di 17,32 microgrammi per ape e 38.82 (sto trascrivendo i dati che mi ha mandato per mail) microgrammi per ape per contatto. Questo mentre il neonicotenoide Thiacloprid ha una DL50 di 0.057 orale e 0.0036 per contatto. Ora faccia lei i conti di quante centinaia di volte è meno tossico quest’ultimo che è stato proibito a confronto con lo Spinosad, ammesso e usatissimo da chi si dichiara amico dell’ambiente e delle api. Lo usa anche il mio vicino che tratta i suoi kiwi Bio contro la cimice e ha fatto morire tutte le api che mi portava un apicoltore che voleva produrre l’esclusivo miele di fiori di Paulownia nella piantagione del mio agricampeggio. Ovviamente lei non crederà a queste testimonianze dirette, ma solo ai dati USA, che comunque confermano come i contadini si limitino ad usare il prodotto meno tossico che trovano sul mercato e che quando possono usino meno fitofarmaci, perché questi sono troppo costosi per usarli a vanvera.
Dovrebbe anche spiegare perché ai contadini sia proibito usare gli stessi neonicotenoidi che invece sono consentiti ai cittadini, pardòn ai proprietari di cani e gatti o a coloro che hanno mobili tarlati, case infestate da blatte, cassetti infestati da tarme, ecc. Moltiplichi queste piccole dosi, acquistate continuamente da centinaia di milioni, miliardi di persone.
Condizione necessaria ma non sufficiente per dire che qualcuno trae conclusioni sbagliate è capire che cosa intenda davvero concludere, e non mi pare il caso…
I danni ecologici raramente hanno una sola responsabilità, spesso è una concausa di eventi che talvolta si autoalimentano vicendevolmente, per cui è assai probabile che la moria delle api non faccia eccezione. Che i neonicotinoidi ricoprano un ruolo oramai è acclarato dalla letteratura scientifica (i ‘dati americani’, come li chiama lei, può trovarne in tutte le lingue) che da anni si occupa del problema.
Anche io penso che il GW sia implicato, questo semmai dovrebbe spiegarlo a coloro che ritengono che il cambiamento climatico faccia bene all’agricoltura (e qualcuno a occhio e croce potrebbe anche essere amico suo…)
Ed ecco le solite foibe!!! 😀 Ovviamente non dovrei concederle di utilizzare per l’ennesima volta un argomento polemico contro l’agricoltura biologica per sviare dalle questioni poste dall’articolo, mi limito a dire che sta paragonando pere con mele (cit.). Lo Spinosad è un prodotto di nicchia che si usa per la frutta e poca altra roba, con forte tossicità acuta ma, a differenza dei neonicotinoidi, scarsamente idrosolubile e soprattutto con un’emivita di una settimana al massimo, contro i neonicotinoidi che possono averla anche di 2-3 anni.
Come spiegato i ‘dati USA’ sono la letteratura scientifica, comunque a che il suo vicino di casa (che in un altro commento, se non sbaglio, mi ha definito come un truffatore che ama sfottere bellamente gli ‘ecogrulli’ in sua presenza), usi ad minkiam lo Spinosad posso anche crederci senza problemi, il problema è fare di questo imbroglione incapace il modello supremo dell’agricoltura biologica come fa lei.
Piuttosto, lei continua a presentarsi come avvocato dei contadini quando io non ho alcuna intenzione di fare la pubblica accusa (mi basta che la gente rispetti la legge come qualunque cittadino), ed è strano perché dopo due mesi a dibattere con me dovrebbe aver capito che non sono un gandhiano e che quando voglio attaccare dialetticamente qualcuno lo faccio senza pormi particolare problemi.
Questo dovrebbe chiederlo al legislatore semmai, mica a me! Se si riferisce a Fipronil, però, ho scoperto che non è un neonicotinoide (lo credevo anche io) pur agendo per via sistemica.
Ricordiamo anche per cosa viene utilizzata tutta questa roba: per mangimi animali (e questo almeno, anche se in modo insensato, contribuisce alla produzione di cibo per umani), per biogas, biocombustibili, bioplastiche, il cotone per vestiti usa-e-getta… altro che “sfamare il mondo!!”
Comunque, bisognerebbe porre fine a questa corsa a cercare veleni sempre nuovi, sperando che siano meno dannosi dei primi: come si può pensare che una sostanza progettata per sterminare grandi quantità di esseri viventi non abbia conseguenze anche sugli altri?
“Rassegnamoci” a una minor produzione e minori rese, e compensiamo questo riducendo i consumi inutili e fermando la crescita della popolazione. Non abbiamo bisogno di sessanta magliette di cotone a testa, di quattro cani grandi come lupi per famiglia, e nemmeno di tutti questi carburanti.
Inoltre, potremmo ricominciare ad autoprodurci un po’ di cibo – come ho scritto ne libro che sto cercando di convincere Jacopo Simonetta a recensire 🙂 , abbiamo grandi spazi verdi privati a disposizione che sprechiamo, quando potremmo farci almeno un orto al posto di un prato inglese o giardino ornamentale, o anziché avere un pony tosaerba e altre stupidaggini, una capretta da mungere almeno…
Queste analisi sono interessanti, ma sono fatte all’interno di una logica che va superata.
Mamma mia, ma riuscite a criticare o apprezzare i contenuti proposti senza dover per forza farvi dei retropensieri sull’autore?
Igor, cosa c’entra l’autore? Hai completamente frainteso il senso del mio commento. Secondo me parlare di queste cose è utile, ma va contestualizzato. Non so, è come parlare di quale bomba sia più efficace, senza discutere le ragioni della guerra. Una cosa del genere. Oppure, se preferisci, è come parlare di come far crescere l’economia, senza fermarsi un attimo a riflettere sul perché sia così necessario, o sulle alternative possibili per gli obiettivi che ci prefiggiamo.
Secondo me non bisogna solo “inseguire” in questo dibattito, ma anche riposizionarlo. Certe cose non devono essere accettabili, come per esempio accettare di riempire l’ambiente di veleni, scegliendo solo il veleno meno velenoso, per produrre cose che forse neanche servono.
Non so da cosa hai capito che io facessi insinuazioni su di te!
Gaia, mi occupo da 15 anni di decrescita e ti ho già girato link di miei pezzi dove chiaramente espongo la questione alimentare su altre basi. Il problema però è non partire troppo presto per la tangente, cioé parlare di nuovi paradigma quando non c’è ancora consapevolezza sul fatto dell’insostenibilità dell’esistente (con il rischio di trasformare tutto in una questione di gusti personali). Quando ho condiviso sui social questo articolo, tanta gente è rimasta sconvolta perché convinta che sulle colture Bt non si adottasse alcun tipo di trattamento grazie alla transgenesi, questo è il livello generale di conoscenza.
Ok, infatti la mia critica non era a te! Ha senso ciò che dici ma personalmente penso sia un approccio rischioso vedere queste cose a compartimenti stagni, però capisco la tua logica. Penso che ogni occasione dovrebbe essere buona per introdurre l’analisi sistemica, così che diventi un’abitudine, così come tante altre cose (anche sbagliate) sono date ormai per scontate. Uno dei problemi più grossi dell’ambientalismo è il trattare i problemi isolatamente e separatamente, così l’auto elettrica è la soluzione perché “inquina meno” dove passa, e tutto il resto, che è il grosso, non viene messo in discussione.
Gaia: per certe cose, come ad esempio l’assurda mania di tenere cani enormi, hai ragione. Per le magliette anche, ma solo noi occidentali o poco più, ne abbiamo troppe. Per metà del mondo, anche una maglietta di cotone resta un desiderio spesso irrealizzato. Lo stesso per il cibo. Che da noi si mangino troppe schifezze inutili e anche dannose (merendine, bevande dolci gassate, vari tipi di junk food “ammericano”, ecc) ci sto. Non condivido però la tua idea che tutte le colture intensive di cereali e leguminose proteiche (soia in primis) siano da condannare in toto. La stragrande maggioranza di queste, oltre che in cibo “direttamente” per umani, o come materia prima per quelle cose che tu hai citato (bioplastiche, ecc) è utilizzata come cibo per due specie: galline e suini, che producono più o meno l’85% delle proteine animali. Un restante 10% circa è consumato da vacche per produrre latte: che resta di gran lunga il primo prodotto “agricolo” mondiale. A parte il fatto che quel tipo di mais (indentato e non indurato come quello per alimentazione umana) non lo mangeresti nemmeno sotto tortura, da due kg di miscela di qeuste materie prime ottieni un kg di pollo che, permetterai, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale ritiene più buono rispetto alle materie prime. Lo stesso con le uova: mangiando circa 150 grammi (di meno se in gabbia) di miscela di mais e sottoprodotti della soia, ottieni un uovo di 60-65 grammi. Dal punto di vista nutrizionale, non c’è niente di meglio dell’uovo. Non a caso preso a paragone per tutti gli altri cibi. E che sempre non a caso è anche il cibo proporzionalmente (rapporto qualità prezzo) a più basso costo che ci sia ovunque nel mondo. Vorresti rinunciare a questo?
Come ho scritto più volte, anche la questione demografica può essere risolta o almeno attenuata con due soli metodi: ridurre l’agricoltura di sussistenza e l’aumento dell’istruzione femminile. Senza il primo, il secondo non può avvenire.
Francesco, per me un pollo non è solo un ammasso di proteine gustose. È un essere vivente con le sue esigenze e anche dei diritti. Possiamo mangiare un po’ meno pollo e uova, riducendo il contributo di mais e soia alla loro alimentazione, facendoli razzolare, migliorando il loro benessere e avendo anche un prodotto migliore. Rifiuto questa logica che guarda solo alla quantità e all’efficienza, e non a tutto il resto.
(Ho galline per uova e carne che mangiano cereali, ma non soia, e produco latte da pecore quasi senza cereali, se non il pane di scarto e poco altro occasionalmente, quindi la soia non è indispensabile, e poi dipende che soia è, e l’utilizzo di mais si può ridurre di molto. Ho meno rese ma la roba prodotta così è talmente tanto più buona di quella che compri, che l’altra non riesco nemmeno più a mangiarla)
Gaia: tu però parli da persona che è diventata adulta mangiando bene. E ora da persona sazia, e che è sicura di mangiare anche domani e posdomani, ti permetti di avere fisime sulla qualità e quantità di cibo. Ti dimentichi però che per miliardi di persone le cose non sono così semplici e che l’uovo che per noi costa pochi minuti di lavoro, per loro è ancora un cibo di lusso. Per esempio in Senegal, paese già migliore della media, il consumo medio di uova è di circa un quarto rispetto all’Italia e lo stesso per la carne. Grazie al basso prezzo dei cereali e soia (purtroppo per la maggior parte importati) il consumo è però decuplicato in pochi anni e sta aumentando a ritmo veloce.
Dal punto di vista della sostenibilità, poi le tue galline lo sono meno rispetto a quelle di un allevamento intensivo, perché queste ultime (con una alimentazione più bilanciata tra carboidrati e proteine della soia) mangiano molto meno per produrre un uovo.
Tra le mie varie attività vi è quella di allevare e vendere (a livello amatoriale e cioè poche centinaia l’anno) galline ovaiole di una decine di razze diverse. Alcuni miei clienti si lamentano della scarsa produttività. Escluse le varie parassitosi
e malattie, so giù cosa mangiano: solo cereali e cioè male. Chi segue il mio consiglio di dargli un mangime completo o di mescolare cereali a panelli proteici (soia o girasole) nelle giuste proporzioni, mi ringrazia per avergli fatto raddoppiare-triplicare la produzione. E le uova che mangiano sono anche migliori dal punto di vista nutrizionale.
Infatti si fanno razzolare e si alimentano a scarti perché integrino la dieta, ovvio che non possono mangiare solo cereali. La sostenibilità non è solo input e output, è molto di più, e per quanto mi riguarda comprende anche il benessere animale. Certo, se l’idea è solo sfamare più gente possibile a qualsiasi costo, si metteranno le galline nei capannoni alimentandole con prodotti coltivati apposta, ma questo non è né etico né sostenibile.
Gaia: è tutta una questione di conoscenze e percezione. Quello che a te sembra più etico e sostenibile, per me che per professione ed esperienza so riconoscere i sintomi del benessere o meno degli animali, risulta essere spesso il contrario. Tanti anni fa ho vinto una borsa di studio all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (in pratica l’ospedale regionale degli animali) e mi occupavo di Specie Minori: polli, tacchini, anatre conigli e api. Anche se la mia specialità sono i bachi da seta. Ebbene ho visitato (e fatto l’autopsia, prelevato campioni per analizzarli con vari metodi di laboratorio), a decine di migliaia di animali, sia di allevamenti industriali che di allevamenti famigliari e non c’era confronto per quanto riguarda il livello di salute e benessere: se un animale è sano, sta bene e produce. Nella maggior parte dei casi i cosiddetti polli ruspanti avevano tutti almeno due, tre quattro patologie. Da allora non mangio un pollo o un coniglio “ruspante” nemmeno sotto tortura. Ovviamente, a meno che non sia allevato da me. In assoluto i peggiori allevamenti che ho visto in vita mia sono stati quelli Bio. Ed è appunto da queste esperienze che ho cambiato idea su questo metodo. Che i bio(il)logici producano alimenti vegetali di scarsa qualità e inquinando più degli agricoltori tradizionali, mi secca, ma mi importa tutto sommato poco. Ma che con la scusa di un’etica superiore e della sostenibilità (sono anzi produzioni meno sostenibili) , trattino male gli animali, proprio non lo sopporto.
Francesco, il fatto che, qualsiasi sia l’argomento, tu dica di avere conoscenze iper-specialistiche frutto di anni di esperienza professionale e lunghi viaggi inizia ad apparirmi un po’ sospetto. Magari è vero, per carità, ma iniziano ad essere davvero tanti gli anni che hai passato in tutti i paesi e a fare tutti i mestieri.
Mi insospettisce anche il fatto che tu dica cose contrarie a tutto ciò che io vedo e so e leggo, e anche controintuitive, con tale sicurezza.
(Riguardo agli animali, ad esempio, cosa vogliono è facile capirlo perché basta osservarli e dare loro la possibilità scelta, è ed evidente a chi abbia passato anche solo mezza giornata con un pollo, un coniglio o una pecora accorgersi che non vuole stare in gabbia. Riguardo alle “patologie”, senza dire quali, che animali erano e perché venivano analizzati, l’età, se le patologie erano gravi o meno, ecc, la tua sparata non significa nulla. Tu preferiresti avere un cancro a vent’anni o un raffreddore a ottanta?)
Siccome le mie risposte ai tuoi commenti finora sono state più a beneficio di altri eventuali lettori di questo post, che ho paura vengano convinti dalle affermazioni che tu fai che a me sembrano provocatorie e fuorvianti, finché ho ritenuto ho risposto. Appena mi accorgo, come adesso, che risponderti non è più produttivo ma serve solo a farsi trascinare nell’ennesima polemica in cui il tema in discussione cambia continuamente e tu sai sempre più di tutti in virtù delle dieci vite che hai vissuto, smetto e mi auguro che altri facciano altrettanto.
Mi accorgo di intromettermi ma dopo due mesi di serrati botta e risposta con lui mi sento in diritto di dire qualcosa. Scrive in un suo libro: ” Gli ambientalisti “scienziati” invece studiano ed agiscono su un piano prettamente ontologico: il mondo come è. Pur avendo anche loro simpatie e preferenze, devono attenersi alla modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile”.
Ecco, il suo metodo alla San Tommaso per cui riduce tutto a resoconti individuali è l’esatto contrario di oggettività, affidabilità, verificabilità e condivisibilità. Alla fine, tutto si riduce a fidarsi di lui e ogni questione esaminata, più che chiarirsi, diventa un modo per far vedere quanto ne sa più degli altri.
Ed è anche un modo abbastanza interessato. Se io prendo ad esempio l’agricoltura americana per cercare i numeri più favorevoli all’agroindustria sul piano della sostenibilità, per lui l’agricoltura biologica ad esempio coincide con il vicino di casa che si vanta di truffare gli ecogrulli, non con il Rodale Institute e robe simili. (ecco, il fatto che tutta la gente confidi candidamente a lui i propri crimini e misfatti mi sembra già più sospetta come cosa)
Gaia, Igor: sono un veterinario ed ho passato tutta la mia vita professionale a curare gli animali domestici, in particolare gli avi-cunicoli. Durante i tre anni di Servizio Civile in Mozambico mi sono occupato di un grande allevamento di coniglio (all’epoca il più grande al mondo nell’Emisfero Australe), di oche e di anatre di barberia. Ho poi lavorato per una ditta italiana che si occupava di avicoltura integrata (parecchi milioni di tacchini, polli e faraone). Lavorando per la FAO, per due anni ho insegnato Patologia Aviare in un centro di formazione post laurea ad Amman (Giordania) dove venivano veterinari da 23 diversi paesi dell’area. Poi sempre per la FAO ho lavorato vari anni in vari PVS sempre in campo avicolo. Permettete che sappia qualche cosa di più di chi da poco si è messo ad allevare qualche gallina, soprattutto se pratica il cosiddetto allevamento ruspante e cioè il metodo che più mette in pericolo la salute degli avicoli. Lo pratico anche io, ma sapendo riconoscere le patologie, in particolare quelle parassitarie (coccidiosi, ascarisiosi, istomoniasi, acari, ecc) le so curare. Lo stesso per patologie batteriche e virali, che prevendo con varie vaccinazioni. Negli allevamenti intensivi la maggior parte di queste patologie non ci sono per due motivi: gli animali non sono mai a contatto con il suolo e proprie feci, per cui non si “chiudono” i cicli parassitari ed restando confinati all’interno hanno anche meno occasioni di prendersi malattie batteriche e parassitarie da animali selvatici. Inoltre vige il sistema del “tutto pieno e tutto vuoto”: tutti gli animali sono della stessa età e con la stessa immunità, per cui sono soggetti a meno patologie. L’allevamento avicolo si è sviluppato quando sono stati adottati questi accorgimenti. Se gli animali si ammalano le cure sono talmente costose che l’allevatore ci rimette. E solo gli animali sani crescono in fretta e bene. Visto che vi da tanto fastidio che citi le mie esperienze, citerò l’ennesima. Sabato è venuta una signora, accompagnata dalla famiglia ad acquistare galline. Il figlio, oltre agli struzzi e pecore ha voluto vedere anche i conigli. Nel vederli in gabbia, la signora mi ha rimproverato per la mia crudeltà. Con dovizia di particolari, le ho detto che il coniglio è un essere pauroso, che ha conservato gli stessi istinti dell’antenato selvatico che vive in profonde e buie tane. Per cui trovarsi in una gabbia chiusa (che gli impedisce il contatto con le feci per cui evita la peggiore malattia del coniglio: la coccidiosi epatica) con il nido ben chiuso e buio, per lui è una sicurezza e comporta meno stress che trovarsi all’aperto. La signora (di origine cittadina) non è rimasta convinta. Solo il marito (di origine contadina) , alla prima occasione utile, mi ha preso da parte, mi ha raccontato di aver allevato da giovane anche lui conigli e che questo è l’unico modo corretto e si è scusato a nome della moglie.
Intervengo in questo blog solo per smentire l’ennesimo luogo comune che vede l’allevatore normale come essere crudele che maltratta gli animali che alleva e lo fa solo per bieco profitto, mentre le vispe terese che allevano le galline in montagna, lo fanno per disinteresse e per farle stare bene.
L’errore è considerare un solo parametro come importante per il benessere degli animali. Anche a noi umani piace dormire in camera da letto, da soli o al massimo in due: questo significa che gli umani più felici sono quelli nelle carceri di massima sicurezza?
Ma come si fa a scrivere certe stupidaggini, veterinario o no?
La sua storia del contadino che si scusa per sua moglie è ridicola. I contadini qui sono convinti che tenere le vacche legate alla catena ma al chiuso e al pulito sia il massimo per loro, e rompono le scatole se vedono un animale sotto la pioggia anche se ha scelto lui di starci, avendo un’alternativa. Non riescono a capire che gli animali non sono persone, e confondono il benessere con quello che piace vedere a loro o è più comodo o tradizionale. Non prenderei la parola di un contadino come il massimo in quanto a benessere animale! Ho personalmente visto che quando gli animali sono chiusi si lamentano vocalmente, cercano in tutti i modi di uscire, sono più nervosi. Quando escono saltano di gioia e rientrano solo quando sono pronti a farlo. Questi per me sono i parametri, così come per me una persona che piange e urla non sta bene, anche se non ha “patologie”.
Anche a me quando ero in ospedale con il braccio rotto non colava più il naso, probabilmente a causa di un ambiente super sterile. Ero anche imbottita di antidolorifici per cui non sentivo il dolore. Di nuovo: significa che stavo bene?
Si sa che negli allevamenti intensivi sopravivvono solo i più sani perché gli altri vengono spesso lasciati lì a morire (questo è stato osservato in quelli americani, ma mi pare di capire che in Italia sia uguale). Siccome siamo all’aneddoto, due veterinari con cui ho parlato mi hanno detto che dopo aver visto allevamenti di polli e tacchini hanno smesso di mangiarne. Certo, dipende uno cosa vede. Se per lei un animale in prigione bombardato di medicinali (che poi finiscono in giro in qualche modo) sta bene, non possiamo proprio capirci. Di nuovo, le rispondo a beneficio di altri che eventualmente dovessero leggere, non perché pensi che possiamo trovare un terreno comune.
Per quanto riguarda i conigli, proprio perché è impossibile garantire il loro benessere completo in un allevamento – devono correre, stare con i loro simili, riprodursi, scavare tane, non solo vivere nel surrogato di una tana! – io non ne tengo più. L’ideale sarebbe tenerli allo stato semibrado e catturarli per mangiarli, ma è rischioso e complicato.
Gaia: le ultime vacche legate alla catena le ho viste in Lessinia più di 40 anni fa quando accompagnavo mio cugino, anche lui veterinario a fare i prelievi di sangue per la brucellosi. Ora anche in queste stalle di montagna sono libere nei paddock. Purtroppo hanno interrotto la sana abitudine di metterle in asciutta in estate per portarle in alpeggio a pascolare almeno per un paio di mesi, a causa dei lupi sempre più numerosi. Riguardo la soggettività delle condizioni di benessere delle galline ti racconto un episodio significativo. Un amico catalano, Federico Castellò, gestore della più importante rivista di avicoltura del mondo ispanofono e della Real Escuela de Avicoltura, dove ho insegnato anche io per sei anni, ricevette dalla Generalitat de Catalunya l’incarico di studiare le condizioni di benessere delle galline ovaiole. Lo scopo era di giustificare la nuova normativa UE che imponeva di abolire le vecchie gabbie per adottarne di nuove, più grandi e con migliori condizioni di benessere. Disponendo di un ottimo centro di ricerca pratica, acquistò 2000 pollastre della stessa genealogia e le suddivise in 4 diverse tipologie di allevamento: vecchie gabbie; nuove gabbie; a terra e biologico. Per rilevarne le condizioni di benessere scelse di controllare i relativi ormoni dello stress (cortisolo, catecolamine) con numerosi e continui prelievi di sangue. Oltre ovviamente al controllo della produttività. Già quest’ultima è un indizio di benessere: se la gallina sta male, non produce uova. Dopo quattro mesi comunicò i primi risultati che contraddicevano quello che molti, in particolare i funzionari della Generalidat, si aspettavano: le meno stressate erano quelle nelle vecchie gabbie; seguite dalle galline nelle nuove gabbie, poi quelle a terra e le peggiori quelle Bio. Sentendo questo, i funzionari ruppero il contratto, smettendo di finanziare la continuazione dell’esperimento. Il mio amico, però decise di continuare a sue spese. Ovviamente, gli è stato impedito di pubblicare le conclusioni.
Ho citato questo esempio, perché anche io ne sono rimasto colpito, anche se pensandoci bene ne ho capito le motivazioni etologiche. Non sempre quello che al profano sembrano manifestazioni di disagio o benessere, lo sono realmente. Per esempio, nei pulcini di struzzo c’è un tipo di vocalizzazione che tutte le persone che conosco interpretano come un richiamo e/o sintomo di benessere, mentre io ho appreso a mie spese, che è esattamente il contrario e appena lo sento corro a verificare quello che sta succedendo.
In conclusione, per quanto riguarda il benessere animale, quello che al profano sembra giusto e corretto, spesso non lo è, e viceversa.
Strano che al tuo amico sia stato proibito di pubblicare queste cose, perché su internet si trovano notizie di studi del genere, e anche di come queste idee siano state superate, considerando che lo stress non è un parametro sufficiente. Ti ripeto: puoi prendere una persona in prigione o in un letto di ospedale, vedere che è calma, non stressata in quel momento, e magari non ha neanche malattie, eppure non diresti mai che sta “bene” o che quello sia il modo migliore di tenere le persone e tutti dovrebbero vivere così. Infatti *nessuno*, potendo scegliere, vive così.
Adesso la smetto per non occupare ulteriormente questa pagina con argomenti che non c’entrano con quelli intesi dall’autore.
gaia: senza rendertene conto mi stai dando ragione. Le apparenze spesso ingannano. Soprattutto chi, non avendo sufficienti conoscenze etologiche, non le sa interpretare bene. Ti potrei continuare ad oltranza con una miriade di esempi che dimostrano come l’impressione data dal senso comune umano, che è inevitabilmente dettato dall’antropocentrismo e cioè dai nostri preconcetti di animale bipede, diurno, il cui senso principale è la vista e non l’olfatto, ecc. ecc., sia spesso sbagliata e fuorviante. Tu ne sei una prova.
Il mio amico non ha potuto pubblicare i risultati per due motivi: la ricerca gli era stata commissionata, ed inizialmente pagata, da un ente pubblico, per cui oltre a rimetterci soldi per finire la ricerca, avrebbe dovuto ripagare la prima rata e le penali. Il secondo motivo è che si sarebbe attirato gli strali dell’UE, dominata dai funzionari del Centro-Nord Europa, e che hanno imposto, contro ogni evidenza scientifica, le nuove gabbie. Chiedi agli allevatori, se le galline stavano meglio prima o dopo. Quasi un terzo degli allevamenti italiani hanno chiuso per questo motivo. Soprattutto i più piccoli ed i migliori.
In alcune cose siamo simili agli altri animali, in certe diversi. Come noi, non hanno bisogno solo di protezione e cibo ma anche di libertà, movimento e interazione con i loro simili. Basta osservare come si comportano e considerare come si sono evoluti. La gabbia offre cibo e protezione ma manca tutto il resto, che è fondamentale, e infatti gli animali in gabbia solitamente diventano apatici o aggressivi, o sviluppano tic; appena hanno l’occasione, scappano e non rientrano più.
Gaia: di animali in gabbia, a parte i conigli e le galline, che come ti ho dimostrato, ci stanno meglio che nelle altre due forme di allevamento intensivo (a terra e Bio), non ne vedo altri. Se intendi i visoni, anche io ne abolirei subito l’allevamento, perché non a scopo alimentare. L’allevamento amatoriale delle galline è ovviamente migliore (solo se praticato da persone consapevoli che queste si ammalano di più e che vanno curate) dal punto di vista del benessere, va paragonato all’orticoltura amatoriale: ottima, ma non può certo fornire cibo a 8 miliardi di persone. Dal punto di vista della sostenibilità (consumando molto meno cibo ed energia), sono anche nettamente più sostenibili gli allevamenti intensivi per unità di prodotto.
Considera inoltre che dal punto di vista evolutivo-genetico, (lo scopo primario di ogni specie vivente è riprodurre al massimo i propri geni) le specie domestiche hanno ricevuto dei vantaggi enormi. Se fossero rimasti nella jungla del sud-est asiatico gli antenati del Gallus gallus e Gallus bankiva che hanno dato origine alle attuali razze domestiche, non avrebbero mai raggiunto i numeri attuali.
Mi vien da ridere poi, nel vedere che quelle stesse persone che incolpano noi allevatori di crudeltà, sono le stesse che detengono dei pesci confinati in piccoli acquari; dei gatti o dei furetti perennemente confinati sul divano o balcone di casa e dei cani, (spesso selezionati per le loro deformità anatomiche) confinati per giorni al quinto piano e castrati per farli stare più tranquilli e docili alle amorevoli attenzioni dei loro padroni. Gli stessi che poi li definiscono esseri senzienti! Hanno chiesto il permesso prima di castrarli?
Segnalo all’autore: https://www.theguardian.com/environment/2021/apr/01/toxic-impact-of-pesticides-on-bees-has-doubled-study-shows
Grazie per la segnalazione, che in effetti conferma la bontà degli studi che avevo linkato nell’articolo. Spero anche che possa leggerlo qualcuno che si permette di accusarmi di avere ‘cercato affannosamente ciligie’ per dimostrare quanto dico ma che poi alla mia richiesta di chiariamenti ha ben pensato di tacere.