Inaspettatamente, dopo anni di sostanziale anestesizzazione collettiva, sono saliti alla ribalta due movimenti: Fiday for Future ed Extintion Rebellion. Sono nati indipendentemente ed organizzati in modo molto diverso fra loro, ma condividono uno scopo: limitare il riscaldamento planetario e fermare l’estinzione di massa. Ed il potere ha cominciato a studiarli per capire se e come ne può trarre vantaggio, oppure se vi ha qualcosa da temere.
Premessa.
Correvano gli anni ’70 quando ad un’assemblea (all’epoca si sembrava chissà che) fu sollevata una questione: “Bisogna prendere il potere, oppure è meglio abolirlo?” Mi parve una domanda stupida e magari lo era, o forse no.
La natura e la dinamica del potere sono uno dei temi centrali della speculazione umana fin da quando esistiamo come specie e forse da prima. Non pretendo quindi di dire niente di nuovo, né tantomeno di definitivo, ma solo la mia personale opinione.
Sono giunto alla (provvisoria) convinzione che il Potere, in quanto tale, sia una proprietà emergente della complessità dell’organizzazione sociale, a sua volta dipendente dalla quantità di energia che quella società riesce a dissipare. Il potere dipende quindi dall’entropia che riesce a scaricare fuori dai confini della sua “giurisdizione”, indipendentemente dal fatto che i singoli potenti siano dei soloni o dei tiranni.
Un corollario è che il Potere è sostanzialmente acefalo. Al netto di qualche personaggio e situazione storica molto particolari, ho infatti l’impressione che i potenti di ogni ordine e grado siano i primi ad essere trascinati da dinamiche che ignorano e che loro stessi influenzano solo in modo molto marginale.
Come abitualmente succede con i sistemi complessi, ancorché acefalo, il Potere tuttavia “persegue” (prego notare le virgolette) uno scopo preciso: perpetuarsi e crescere. Ecco perché il potere, in qualunque forma si manifesti, si occupa esclusivamente o quasi di sé stesso, anche quando sembra che si occupi d’altro. Ed ecco perché se vuoi essere un interlocutore, anzi se vuoi esistere agli occhi di chi esercita una qualche forma di potere ad un qualunque livello, devi far credere di essere in grado di incrementare o minacciare quel potere (sempre salvo rare e lodevoli eccezioni).
Per questo non si vede mai un amministratore, un imprenditore, un sindacalista od un politico laddove si discute, ad esempio, di come funzionano le foreste o di cosa si debba intendere per “paesaggio”, ma si presentano in folla laddove si discute di poltrone e di finanziamenti. Oppure laddove si possa sperare di far bella figura con chi ancora non ti conosce.
Il Potere, assai più dei potenti che spesso sono stupidi, ha anche un fiuto infallibile. Per questo, almeno fin dai primi anni ’70, il potere ha intuito il carattere profondamente eversivo dell’ambientalismo che, per natura, è incompatibile tanto con il capitalismo, quanto con il socialismo: nati entrambi da differenti versioni del mito progressista e finalizzati alla sempiterna crescita. Tanto è vero che di qua dalla Cortina di Ferro la maggior parte delle organizzazioni ambientaliste furono e sono di tendenze più o meno sinistrorse, mentre oltre la cortina, per il poco che era permesso fare, furono e tuttora sono di matrice liberale.
Da subito, il potere fiutò dunque il pericolo meglio della maggior parte degli stessi ambientalisti, perlopiù ignari delle implicazione delle loro stesse idee. Per questo i governi hanno contrastato chi voleva tutelare le fondamenta dell’economia, della società e della stessa sopravvivenza della nostra specie. Sembra un paradosso, ma è invece perfettamente logico, tanto che questa tendenza si sta esacerbando in tutto il mondo, proprio mentre i danni degli errori e delle ignavie del passato diventano evidenti. Proprio mentre molte delle cosiddette “cassandrate” cominciano a materializzarsi nelle nostre vite e una ragazza con le treccine comincia a chiederne ragione.
Ribellione?
Purtroppo, la questione climatica e, più in generale, ambientale è particolarmente ostica per il potere perché qualunque intervento significativo si porterebbe dietro una messe di “effetti collaterali” che andrebbero a minacciare quello stesso potere che dovrebbe prendere le decisioni. Non a caso se ne occupano solamente alcune branche marginali della scienza e del volontariato, mentre il grosso del corpus tecnico-scientifico mondiale ignora la questione, o se ne occupa solo per elaborare idee che possano sfruttare in qualche modo la situazione. Lo stesso fanno i centri di potere economico e politico di qualunque livello e perfino la grande maggioranza delle ONLUS.
A me pare che, al netto di qualche eccezione, i detentori ed i guardiani del potere stiano reagendo secondo alcune strategie molto ben collaudate. ..
Negazione. Semplicemente, negare i fatti. Ci sono alcune varianti fra cui la più stupida è: “Non è vero che c’è il GW, oggi fa un freddo boja!”. Un tantino più elaborata è la versione economicista: “Il clima è sempre cambiato e saremo sempre in grado di adattarci; anzi si aprono nuove grandi possibilità di business. Evviva!”
Qualche scienziato, anche illustre, adotta un’altra variante: “Si, c’è un problema e io sono l’unico che ha capito come fare a porvi rimedio, quindi dovete dirottate i fondi di ricerca sui miei progetti.”
Una versione ancora più elaborata è la cosiddetta “strategia del tabacco” che consiste nel finanziare ricercatori e media poco scrupolosi per far credere che fatti e fenomeni accertati non lo siano.
Talvolta costoro suscitano tristezza, talaltra fanno rabbia, ma non sono molto pericolosi perché il consenso dei climatologi sui punti fondamentali della questione è praticamente unanime da parecchio tempo. Beninteso, ci sono differenze nelle opinioni circa gli sviluppi futuri e su quali siano le retroazioni principali, i modelli più attendibili, gli interventi auspicabili, ecc. Ma non sul fatto che il cambiamento delle caratteristiche chimico-fisiche dell’atmosfera sia stato scatenato dall’industrializzazione e dalla conseguente sovrappopolazione.
Calunnia. Questo approccio consiste nel disinteressarsi completamente dei fatti e denigrare le persone. Per questo,oggi, questo tipo di attacco mira soprattutto Greta Thumberg che è diventata il personaggio-simbolo della protesta. Sostanzialmente, il discorso si limita a questo: “Greta è una persona orribile, quindi non c’è nessun problema col clima e non esiste nessuna estinzione di massa.”
Una variante è quella di avanzare ipotesi del tutto gratuite sui sordidi complotti che si potrebbero celare dietro la ragazza. Evidentemente Greta ha uno staff di tecnici che la supporta lavorando a tempo pieno, quindi ha dei finanziamenti. Può essere interessante sapere da chi vengono e si possono benissimo non condividere le scelte di Greta e della sua squadra, ma non dovrebbe essere invece lecito usare la calunnia per far dimenticare che, nella sostanza, lei ha ragione e che sta riuscendo nel miracolo di attirare l’attenzione di molti giovani su di un problema drammatico che li riguarda molto da vicino.
I “fanghisti” possono fare qualche danno ed i “complottisti” molti di più, ma non sono particolarmente pericolosi perché il loro approccio è efficace solo con una frangia di opinione pubblica intrinsecamente inaffidabile, qualunque cosa vada di moda pensare.
Muro-di-gomma. Un’altra strategia in campo è quella di far finta di niente. Magari un po’ di chiacchiere per guadagnare tempo, aspettando che la gente si stanchi e pensi ad altro, così che il movimento si riduca ad un manipolo di irriducibili sempre più frustrati ed incattiviti. A questo punto diventerà facile ignorarli del tutto o, addirittura, perseguirli legalmente.
Questa è invece una strategia particolarmente insidiosa che già molte volte è servita a danneggiare movimenti politici di vario genere ed in particolare l’ambientalismo che, nel suo articolatissimo complesso, ha subito danni enormi da questo metodo di contrasto.
Un punto chiave qui è che il potere dispone di mezzi ingenti e personale specializzato che lavora per esso a tempo pieno, mentre chi tenta di contrastarlo si deve di solito basare sul volontariato di persone non sempre adeguatamente preparate. La disparità di forze è tale che i successi parziali, che pure ci sono, hanno del miracoloso.
I muro-di-gommisti sono molto pericolosi perché fanno perdere slancio e credibilità al movimento, deprimono gli attivisti, delegittimano le istituzioni.
“Greenwashing”. Significa “inverdire” politiche, affari e tecnologie che poco o punto hanno a che fare con ciò che sarebbe necessario, spesso sono anzi nefaste. In pratica, si tratta di cavalcare il movimento per ricavarne dei vantaggi politici, economici o di immagine. Una strategia adottata da molti, anche a livello individuale. Alcuni platealmente in malafede, come quegli amministratori e governanti che proclamano lo “Stato d’emergenza climatica e ambientale” per poi non prendere alcun provvedimento conseguente che sia minimamente serio. Peggio, senza neppure rallentare i programmi in atto di segno esattamente opposto a quello necessario per mitigare la catastrofe.
Talvolta, invece, le persone sono in buona fede perché il confine tra la truffa e la fuffa può essere labile e spesso gli stessi ambientalisti non si rendono conto dell’inganno. C’entra la scarsa comprensione di fenomeni molto complessi, c’entra il fatto che è sempre facile convincersi che ciò che fa comodo a noi sia comodo a tutti; ma c’entra anche il fatto che le persone, da qualunque parte stiano, si lasciano trascinare dagli eventi e dalle mode.
Il greenwashing è il nemico più insidioso di tutti perché chi lo pratica (in buona o cattiva fede cambia poco) può mettere a disposizione del movimento mezzi anche importanti, ma così facendo lo svuota di significato e lo scredita. Si veda la catastrofe culturale, oltre che materiale, rappresentata dal concetto di “sviluppo sostenibile” che, nato come “exit strategy” dall’impasse in cui tanto l’ambientalismo che il capitalismo si trovavano, è diventato un “ossimoro disperante”, viatico di nefandezze.
Credo che Friday for Future ed Extinction Rebellion debbano urgentemente trovare il modo di difendersi da questi pericoli, soprattutto dagli ultimi due. Altrimenti falliranno non solo nell’arginare la catastrofe (che almeno in parte è ormai inevitabile, anzi in corso), ma anche nel fare da incubatore per la classe politica che dovrà gestire la situazione nei prossimi decenni.
Allora bisogna prendere il potere, oppure bisogna abolirlo?
Francamente, ancora non lo so. Da una parte, un forte potere sarebbe indispensabile per attuare i provvedimenti necessari nei tempi ristrettissimi a disposizione. Provvedimenti, si badi bene, perlopiù molto impopolari. Dall’altra, il potere nasce dalla dissipazione di energia e sarebbe quindi necessario ridimensionarlo (abolirlo è impossibile, ovviamente). In pratica questo significherebbe però lasciare la briglia sul collo ad ogni sorta di speculazione e sopraffazione possibile. Si veda quel che succede ogni volta che si allentano i vincoli ed i controlli.Ma forse, alla fine, non sarà necessario scegliere. La quantità di energia netta pro-capite non sta più aumentando a livello globale, mentre in alcuni paesi importanti sta diminuendo; lo si vede fra l’altro, proprio dalle convulsioni del Potere in molte parti del mondo e dal suo disintegrarsi in altre. Il Potere si andrà dunque dissolvendo ed atomizzando, man mano che ne verranno meno le basi fisiche, chiunque lo detenga. Intanto cerchiamo di salvare il salvabile e di lasciare qualcosa ai “gretini” ed anche a i non “gretini”; toccherà a loro superare la fase più critica della prima (e probabilmente ultima) crisi maltusiana globale.
Sull’articolo mi pare centrato e concordo su analisi, mi sembra ambigua l’interpretazione dell’ultima parte che in sintesi è: il potere si sta disgregando…. Non mi pare e le forme anche mediatiche che mutano in un vortice di sovrabbondanza o di restrizione di terreni di scontro mi pare che sia un cuscinetto utile ad impedire appunto di toccare con fatti cambiamenti reali. Vediamo pure chi è oggi al governo(M5S) che ha cambiato atteggiamento dalle sue origini quasi fino a sposare liberismo, “concretezza del mercato”, annegamento scopi per stare al potere. Concretamente non serve essere scienziati per capire che la realtà in cui viviamo non ha una sola proposta tangibile , dimostrabile che ci dimostri che qualcosa cambia nel clima come nel modello di sviluppo che ne è causa. Quindi mentre fai bene a tirare le orecchie a due movimenti al centro della scena, tra l’altro molto diversi fra loro, c’è questa forma di dialogo ormai impostato verso autorità come già un risultato importante(almeno per FFF) anche se poi firmano una bella emergenza e si girano dall’altra parte . Rifacciamo la storia dell’ambientalismo da cinquant’anni, io da vecchio bacucco l’ho vissuta gia dal ’68 in poi , ma sembra che non si voglia imparare dalla storia . Così mentre vogliamo cambiare il mondo e le sue regole ci accontentiamo di pulire una spiaggia o eliminare le bottigliette di plastica da una scuola e pazienza per questa rivoluzione che non viene . Non è il potere che si autodistrugge , ma la coglionaggine (per mille cause diverse) di autismo politico
“… il Potere, in quanto tale, sia una proprietà emergente della complessità dell’organizzazione sociale, a sua volta dipendente dalla quantità di energia che quella società riesce a dissipare. Il potere dipende quindi dall’ntropia che riesce a scaricare fuori dai confini della sua “giurisdizione”, indipendentemente dal fatto che i singoli potenti siano dei soloni o dei tiranni.”
Qui, caro Jacopo, tu mi pare confonda la complessità della società con il potere. Quindi, seppure dubito fortemente di questo tuo tentativo di dare una descrizione termodinamica delle società umane, in ogni caso penso che il potere c’entri ben poco, perchè una società complessa senza potere secondo la tua stessa descrizione termodinamica non cambierebbe di una virgola.
Il potere si genera in qualsiasi sistema anche costituito da altri animali differenti dagli uomini, organizzati in società che sarebbe incomprensibile definire complesse. Il potere costituisce uno dei meccanismi fondamentali che presiede all’organizzazione della convivenza tra organismi biologici, e come tale ne dobbiamo prendere semplicemente atto, e non avrebbe senso una sua demonizzazione. Ha piuttosto senso entrare nel merito delle specifiche forme che il potere assume, nonchè dei risultati del suo esercizio.
I due movimenti che citi inevitabilmente non possono prescindere da queste logica implacabile e inaggirabile del potere, e come tali vano considerati. Le treccine di Greta e ciò che rappresentano costituiscono un potere ormai notevole nella società, e così questi movimenti vengono giudicati con criteri politici, e non morali. I criteri politici riguardano la funzione che essi svolgono a livello sociale e i risultati che è lecito attendersi dal loro operare, ora, ma anche in una prospettiva temporale prossima.
Non capisco poi perchè tu sembri assecondare un approccio che vedo molto incoraggiato sui media, e cioè il capovolgimento dell’ordine logico. Chi si occupa da tempo di ambiente, e tu lo fai certamente da molto tempo prima di me, dovrebbe sempre avere come proprio riferimento l’interesse alle tematiche ambientali, e quindi da queste partire anche per giudicare questi movimenti. Mi aspetterei da chi nell’ambientalismo c’è già da tempo che abbia la capacità di un approccio critico verso chi irrompe nel vasto settore dell’ambientalismo, mentre a un certo punto sembra che tu prenda a riferimento il movimento di Greta e quindi lo assuma come criterio prioritario di giudizio, valutando positivamente chi lo favorisce e negativamente chi lo contrasta. Come dicevo, io faccio l’esatto contrario, ho una mia opinione sui temi ambientalisti che credo debbano essere oggetto di continuo dibattito pubblico, il che ovviamente implica la mia disponibilità a rivedere le mie convinzioni, ma non considero sensato accodarmi a un movimento appena nato e che necessariamente è pesantemente influenzato dal clima culturale dominante.
Prendendoci per intero la responsabilità che ci tocca di ambientalisti storici, dobbiamo a mio parere quindi partire da ciò che tu stesso affermi:
“…fin dai primi anni ’70, il potere ha intuito il carattere profondamente eversivo dell’ambientalismo che, per natura, è incompatibile tanto con il capitalismo, quanto con il socialismo: nati entrambi da differenti versioni del mito progressista e finalizzati alla sempiterna crescita.”
L’ambientalismo è del tutto incompatibile con l’ordine liberal-capitalistico che domina quasi incontrastato ormai da almeno tre decenni il mondo, mentre quella forma specifica di socialismo a cui tu ti riferisci si è suicidato da sé e credo non abbia molto senso parlarne. Rimane il caso fondamentale della Cina che mi pare abbai sposato quasi integralmente la logica capitalistica, anche se in una cornice istituzionale sua propria.
Dobbiamo quindi essere chiari, non basta essere anticapitalisti per essere ambientalisti, ma non si può essere coerentemente ambientalisti senza essere anticapitalisti.
Ci sono ovviamente mille altre questioni teoriche di natura ideologica, politica, anche scientifica che tuttora animano il dibattito tra gli ambientalisti, e alle quali anche io ho dato nel mio libro il mio contributo, non vorrei che la nostra opinione in proposito dipenda semplicemente dalle parole pronunciate da Greta.
https://www.theguardian.com/environment/2019/oct/05/london-police-arrest-extinction-rebellion-activists-in-advance-of-environment-protest
Irruzione della polizia e arresti di membri di Extinction Rebellion, per confiscare cosa?
… confiscated equipment included portable toilets, kitchen equipment, gazebos and big tents, cooking urns and big thermos flasks, 250-watt solar panels and 12v car batteries, food, waterproofs, umbrellas and hot water bottles.
E io che pensavo come minimo armi e molotov….
Stiamo sereni, che almeno non ci sia un’altra scuola Diaz o un altro 11/9 a fare del 2019 un nuovo 2001. Allora, bastava girare per Roma con una kefiah e una cartina della città per essere sospettati di progettare attentati anarcoinsurrezionalistiecoestremistiepureislamisti.
Quanto alla riflessione di Jacopo, la trovo molto condivisibile. Ingeneroso, pensare che sotto sotto si faccia dipendere l’ambientalismo dall’ultimo gretinismo sulla scena.
La mia idea è solo un po’ differente dalla sua, e forse solo in apparenza:
1) l’energia non è necessariamente la grandezza fisica principe, tra quelle che impongono un limite all’umanità; se la vediamo come tale, è perchè in effetti FINORA sono state proprio le fonti energetiche ritenute virtualmente inesauribili, a pilotare lo “sviluppo”; altre grandezze possono sempre più rubarle la scena, anche laddove l’energia ancora abbonda; basti pensare (ma forse è solo un esempio) al consumo di suolo, che non crea solo una difficoltà fisica allo sfruttamento dell’energia, ma crea proprio un limite geometrico.
2) allo stesso modo, i problemi “sociali” non sono solo un cascame di quelli ambientali; rispettare l’Uomo non significa attribuirgli piena capacità di sfruttare le energie esternalizzando a volontà le entropie della natura; viceversa, rispettare la natura non significa solo castrare tale capacità (per cui si inneggia a scelte impopolari); si tratta invece di rispettare i Limiti in ogni loro forma, fisica, geometrica e financo spirituale; il problema politico consiste proprio nel conoscere e far conoscere il peso relativo di ogni forma (è anche questo il ruolo della scienza)
3) il potere è manifestazione della complessità, ma avviene anche il contrario; il problema è semmai che tale complessità si traduce troppo spesso in entropia da esternalizzare (anche al di là del ruolo del potere), mentre ormai sembra che il tappeto non ne contenga più sotto di sè; l’ignavia non aiuta più a costruire futuri vivibili, come pure la burocrazia e il potere imposto, mentre invece qualche speranza viene dal conoscere i Limiti…