Le opinioni sul recente voto presidenziale USA che imperversano sui media e sul Web spaziano, a seconda delle tifoserie, dal ’25 aprile americano’ al ‘trionfo del Nuovo Ordine Mondiale’, entrambe visioni estremizzate molto lontane dalla realtà. Del resto, fin dall’inizio si stavano scambiando lucciole per lanterne: appena prima dello spoglio delle schede postali – cioé quando Trump, in ritardo nel voto popolare, sembrava avviato alla riconferma grazie al meccanismo dei grandi elettori premiante il radicamento territoriale del consenso – Biden veniva additato a candidatura debole e si rimpiangeva a gran voce Bernie Sanders, malgrado l’ex vice di Obama si avviasse già a riscuotere più consensi di chiunque altro nelle elezioni a stelle e strisce.
Tali considerazioni, inoltre, dimenticano che il Partito Democratico è complementare a quello Repubblicano, nel senso che rappresenta una fazione interna al mondo degli affari (il vero Deep State, al di là della retorica militante alla Qanon), per cui è fuori discussione una leadership di esponenti in stile Sanders, almeno finché si professano ‘socialisti democratici’ o avanzano dure critiche al capitalismo. Quindi, buona o cattiva che fosse, la candidatura di un centrista come Biden era comunque obbligata, vista la natura profonda dei Democratici.
Per inciso, ritengo che questa elezione abbia messo in evidenza i limiti dei social media come strumento di propaganda politica. Chi decide di seguire un profilo social di un personaggio pubblico lo fa perché ha già maturato simpatia nei suoi riguardi, non è mosso da curiosità o dubbio: di conseguenza, su Facebook, Twitter, Instagram si tende a un discorso autoreferenziale volto a galvanizzare e compiacere i follower, atteggiamento che induce inevitabilmente a radicalizzare le posizioni, mossa non particolarmente adatta per conquistare nuovi seguaci. L’entourage di Trump ha forse pensato che bastasse conservare lo zoccolo duro di elettori del 2016 per spuntarla nuovamente, puntando quindi su di una tattica molto aggressiva, in linea con il temperamento del tycoon newyorkese; l’effetto collaterale è stato però di convincere indecisi e democratici delusi a recarsi alle urne, diversamente da quattro anni fa, per sostenere il suo avversario.
Le presidenziali 2020 hanno inoltre confermato un trend oramai evidente da anni (analizzato, tra gli altri, da Thomas Piketty in Capitale e ideologia), tale per cui le categorie contemporanee di Destra e Sinistra si possono descrivere sinteticamente in questa maniera:
Destra: schieramento della upper class, degli abitanti di campagne, piccoli centri e aree suburbane; più in generale, espressione della popolazione più ricca e dei perdenti della globalizzazione.
Sinistra: schieramento espressione della classe media urbana e istruita, nonché di coloro che a vario titolo traggono beneficio dal cosmopolitismo promosso dai processi di globalizzazione.
Personalmente ero curioso di vedere se, dopo il primo mandato, la classe lavoratrice bianca (artefice del successo di Trump nel 2016) avrebbe garantito nuovamente il suo sostegno, non parendomi poi tanto scontato: alla fine, al di là di qualche chiacchiera sulla necessità di introdurre misure protezionistiche e rilocalizzare le attività industriali, le manovre economiche degli ultimi anni sono state all’insegna di maxi-detassazioni per le classi più agiate e tagli al welfare, nulla di particolarmente diverso dalla solita minestra neoliberista. Esaminando la geografia del voto, si direbbe che tale supporto non sia mancato e possa persino essersi accresciuto, al punto da indurre Trump a definire i Repubblicani “nuovo partito della classe lavoratrice”.
Di fatto, negli USA e in tutto l’Occidente si sta verificando un problema caratterizzante le società che hanno raggiunto una fase postindustriale e terziarizzata, una volta delocalizzata in maniera massiccia la manifattura e tante altre attività produttive nei paesi emergenti. Al vecchio proletariato operaio, grande protagonista dei ‘trenta gloriosi’ del boom economico e capace di trattare quasi alla pari con il padronato, è succeduta una massa eterogenea di cui solo una minoranza è riuscita a integrarsi vantaggiosamente nella nuova società dei servizi e dell’high tech (incapace di garantire i livelli occupazionali precedenti), mentre la maggioranza naviga a stento tra disoccupazione, contratti part time e lavoretti della cosiddetta gig economy (i ‘bullshit job’ di cui parlava il compianto David Graeber).
All’atto pratico, Trump e le destre genericamente chiamate ‘populiste’ non fanno granché in sostegno di queste fasce sociali, però, contestando (almeno a parole) quei meccanismi internazionali che ne hanno causato l’impoverimento, ne tengono viva l’aspirazione a una società diversa dall’attuale, dove possano di nuovo rialzare la testa; la Sinistra invece, insistendo a proporre una ‘globalizzazione dal volto umano’, si limita a preservare lo status quo indorando la pillola. Anziché ricevere qualche elemosina, gli sconfitti della mondializzazione preferiscono avallare piani economici obiettivamente favorevoli ai più benestanti, a patto che questi si impegnino in un progetto che restituisca loro centralità e dignità (aspetti che la Sinistra, da sempre concentrata sugli aspetti prettamente economicisti, ha troppo spesso ignorato). Così come non bisogna demonizzare la Rust Belt, non è neppure il caso di idealizzarla troppo, anche perché l’infatuazione per la nuova Destra richiama un fatto storico poco nobile, ossia la correlazione tra benessere della working class bianca e subordinazione della popolazione nera.
Prima della guerra di Secessione, i Democratici – all’epoca favorevoli alla schiavitù e radicati negli stati del Sud – denunciavano i propositi abrogazionisti di Lincoln e soci quale minaccia per i diritti degli operai bianchi del Nord, preoccupazione condivisa successivamente dal prima sindacato nazionale statunitense, la NLU (National Labor Union, fondato nel 1866 e sciolto nel 1873), favorevole all’esclusione dei neri (oltre a donne e cinesi) dalle loro fila. Il New Deal non intaccò il regime di segregazione impedendo quindi ricadute sociali favorevoli agli afroamericani (emblematicamente, anche Roosevelt si rifiutò di stringere la mano a Jessie Owen dopo i suoi trionfi olimpici, non diversamente da Hitler), così come la Great Society di Kennedy e Johnson limitò l’emancipazione allo stretto indispensabile, alimentando un malcontento catalizzato da Mussulmani Neri, Black Panther e organizzazioni radicali analoghe.
Gli elevati tassi di crescita economica, allargando la torta da dividere, tendono di norma a rasserenare gli animi rendendo più magnanimi persino intolleranti e discriminatori, riuscendo nel complesso a smussare tensioni tensioni pronte a riesplodere drammaticamente nei momenti di stagnazione e recessione. Compreso il ruolo del razzismo nel delicato equilibrio sociale statunitense, si comprendono meglio le strizzate d’occhio di Trump a suprematisti bianchi e gruppi simili, nonché molti altri aspetti della sua condotta.
Fonte: resilience.org
A suo modo, l’amministrazione uscente ha cercato di far fronte ai problemi innescati dai tassi di crescita più bassi dell’ultimo mezzo secolo. Se si riesce per un attimo a separe il ‘Trump pensiero’ dall’istrionica e folkloristica figura del primo presidente inserito nella hall of fame di una federazione di wrestling, si riconosce una strategia pensata appositamente per il periodo di vacche magre che stiamo vivendo, dove non si possono riproporre pedissequamente le ricette messe in atto dai due principali partiti in passato. Ecco quelli che ritengo i capisaldi fondamentali:
- ammissione del declino USA: differenziandosi radicalmente dal neoconservatorismo, si è rinunciato a qualsiasi tentativo di mantenere l’egemonia unilaterale globale, preferendo invece una strategia volta a isolare la Cina attraverso una rete capillare di alleanze (con la Russia di Putin, con gli stati arabi sunniti contro l’Iran filo-cinese, con la Gran Bretagna post-brexit e strizzando l’occhio alle nazioni la cui permanenza nella UE risulta particolarmente disagevole);
- ridefinizione del ruolo militare USA: i sostenitori di Trump presentato spesso il loro beniamino come garanzia per la pace mondiale rispetto ai ‘guerrafondai’ democratici, portando come elemento a sostegno il ritiro delle truppe da Iraq e Afghanistan unitamente alla crescente insofferenza per il peso economico che gli USA si accollano per il mantenimento della NATO; osservazioni che cozzano contro i 750 miliardi di dollari in spese militari varati nell’ultima manovra economica, più di quanto richiesto dallo stesso Pentagono. L’apparente paradosso si comprende alla luce dell’abbandono del tradizionale ruolo USA di gendarme mondiale, in favore di una strategia più flessibile e meno dispendiosa (ad esempio aumentando la militarizzazione dello spazio, su cui si concentrava gran parte dell’interesse di Trump per le forze armate);
- protezionismo economico: il libero mercato equivale a un pugilato dove sono abolite le categorie di peso; ti conviene quindi quando sei il più grande e grosso della situazione, ma non se qualcuno ti sovrasta in forza. La politica economica trumpiana, consapevole dell’attuale superiorità cinese, ha optato per una guerra commerciale a base di dazi contro il colosso asiatico, allo scopo anche di metterne un freno al dumping e ai furti di proprietà intellettuale. Le vecchie organizzazioni sovranazionali da sempre espressione del Washington Consensus, come il WTO, sono state bypassate in favore di più agevoli accordi bilaterali con le singole nazioni;
- cancellazione degli ostacoli ‘facili’ alla crescita economica interna: vedi i tagli al welfare e la soppressione di gran parte della legislazione ambientale, per sostenere il più massiccio piano di sgravi fiscali nella storia recente USA.
In un certo senso, Trump ha incarnato davvero una ‘rivoluzione conservatrice’, espressione molto più confacente a lui che al collega repubblicano George W.Bush, al quale viene normalmente associata. Se Biden, come denunciano i suoi detrattori, è un parto del ‘Nuovo Ordine Mondiale’ di cui i maggiori esponenti sono i magnati dell’informatica e delle telecomunicazioni, l’oramai prossimo ex inquilino della Casa Bianca ha rappresentato il tentativo del Vecchio Ordine – tra cui spicca il business as usual dell’ultimo mezzo secolo, in particolare l’industria petrolifera e delle fonti fossili, da cui Biden ha rifiutato ogni forma di contributo per la sua campagna – di farsi ‘resiliente’, cioé di conservare il predominio adeguandosi alla mutata statura internazionale degli USA e all’indebolimento economico. In un certo senso, la Destra che fa i conti con il collasso facendosene beffe allo stesso tempo.
Ovviamente, nessuno ha la sfera di cristallo per sapere come sarebbe proseguita l’avventura dell’amministrazione uscente in caso di rielezione, meno che mai il sottoscritto: mi limito però a supporre che, in breve tempo, alcuni nodi sarebbero venuti al pettine. L’ambizioso programma economico del presidente è stato ben lungi dal concretizzarsi, cosa che lo avrebbe indotto con ogni probabilità a nuove trovate demagogiche per fomentare i suoi sostenitori nel tentativo di occultare i problemi, spaccando una nazione già abbondantemente lacerata. Il suo destino avrebbe potuto ricalcare quello di Bush jr, rieletto in pompa magna nel 2004 per poi incappare in una sorta di damnatio memoriae.
Qualunque sia il futuro politico di Donald Trump, sarebbe sbagliato pensare che il trumpismo finisca con la sconfitta del suo leader perché, nonostante molti aspetti nebulosi e inquietanti, bisogna dargli atto di aver ammesso questioni ineludibili troppo spesso negate a Destra come a Sinistra: su tutte, la fine dell’egemonia americana e della globalizzazione neoliberista così come l’abbiamo conosciuta, nonché la messa in discussione dell’assetto della società postindustrializzata, dove la rinuncia all’apparato produttivo crea una società traballante di (tanti) sommersi e (pochi) salvati. Malgrado la sostanziale inefficacia dei piani di Trump, se la nuova amministrazione pensa di riproporre il consueto social-liberismo democratico riuscirà solo a peggiorare una situazione già altamente drammatica.
Se il Green New Deal, divenuto uno dei pilastri centrali della campagna elettorale di Biden, non rimarrà solo uno slogan, dovrà per forza radicarsi nel tessuto produttivo USA, attraverso la riconversione degli ex distretti industriali tradizionali: tuttavia, nel contesto dell’attuale mercato mondiale, è possibile competere alla pari con Cina e altri paesi emergenti nella produzione di pannelli fotovoltaici, aerogeneratori e tutto l’armamentario necessario per la decarbonizzazione? Ne dubito seriamente, in assenza di opportune misure per difendere importanti segmenti dell’economia americana, abbastanza deficitaria nel settore delle energie rinnovabili.
Fonte: Wikipedia
Quote di mercato delle aziende produttrici di turbine eoliche
Pertanto, anche senza riproporre il clima teso delle guerre dei dazi, Biden potrebbe approfittare del ‘lavoro sporco’ già avviato da Trump per implementare almeno quella dose di protezionismo necessaria alla scopo. Se ciò avvenisse parallelamente ai promessi piani di aumento della tasse per le fasce più abbienti, ci sarebbe anche modo di ricreare la necessaria coesione sociale.
Insomma, non sarebbe affatto male recuperare alcune intuizioni profonde alla base del trumpismo e di quei movimenti genericamente chiamati ‘sovranisti’ e ‘populisti’ per declinarli in una versione radicalmente diversa da quella proposta dalla Destra, che finisce inevitabilmente per far degenerare tutto in tensioni etnico-razziali, consolidamento dei privilegi sociali, sciovinismo più o meno marcato, cancellazione di ogni forma di rispetto per l’ambiente. In questo caso, la sconfitta di Trump diventerebbe davvero una vittoria per tutti, anche per i suoi più stimabili e rispettabili sostenitori.
Il popolo americano, ha tutto il diritto di scegliersi il presidente che vogliono!.
Personalmente “a pelle” a me stava simpatico più Obama di Trump: perchè Obama era una persona normale, era un avvocato con una vera famiglia, ed un presidente di colore in uno stato come gli USA dove la segregazione raziale era durata sino al 1969, la vincita d’Obama è stata una bella cosa. Intervistato sull’AirForce One e sull’Elicottero, ha detto che non aveva mai avuto un aereo ed un elicottero in vita sua, e che a suo dire quelli che c’erano andavano benissimo. La sensazione “a pelle” è che Trump sia un riccone americano, tronfio e mattonaro, decisamente ottuso e piuttosto prepotente, forse anche un po’ razzista: è difficile immaginare come abbia potuto fare tutti i soldi che dice d’avere.
Tuttavia, in politica estera i due presidenti si sono comportati molto diversamente!.
Obama, nel secondo mandato ha fatto un disastro in politica estera!.
Trump nel suo primo ed unico mandato, ha fatto molto bene in politica estera!.
Lo sanno anche i sassi che l’Isis è un’invenzione democratica (di cui il mondo poteva fare a meno) creata con i danari petrolarabi.
La guerra in Siria l’ha scatenata Obama (il mondo ne poteva fare a meno).
La guerra fredda 2.0 per lo shale gas ucraino è made in Obama (l’Europa ne poteva fare a meno).
L’enorme buco commerciale degli USA con la Cina è made in Obama (in USA ne avrebbero potuto fare a meno).
I vari gruppi jihadisti che scorrazzano nella savana africana sono tutti “sunniti” con l’assioma (per adesso) del cambio fisso del Rial con il dollaro, ed è un tentativo sunnita di mettere il cappello sunnita sulla bomba demografica africana, cercando di poter controllare con il potere religioso e temporale, i futuri conflitti che detoneranno nel XXI°secolo in nord-nordest Africa.
Trump in questi 4 anni non ha fatto nessuna nuova guerra.
Trump ha posto fine alla guerra fredda 2.0
Trump ha trovato un accordo con Putin, in una settimana hanno demolito l’Isis con veri attacchi aerei.
Trump ha detto che gli europei sono sufficientemente ricchi per pagarsi la propria difesa (questa cosa è obbiettivamente vera).
La questione “Obama care” sì o no, a me non m’interessa, perchè è politica interna USA: gli americani si meritano il presidente che votano!.
“Il popolo americano, ha tutto il diritto di scegliersi il presidente che vogliono!.”
Frase che dovrebbe rivolgere non a me bensì a Donald Trump che insiste nel non voler riconoscere il risultato delle elezioni malgrado la mancanza di qualsiasi inidizio di brogli.
Per il resto, sotto Trump in realtà c’è stata l’uccisione del generale Qasem Soleimani a Baghdad, uno degli eventi più destabilizzanti sulla politica internazionale degli ultimi anni. Per il resto, ha inaugurato una guerra fredda 3.0, dove si riconosce il declino dell’egemonia unilaterale e si cerca di realizzare una vasta alleanza in funzione anticinese. Penso che, se rieletto, avremmo visto in azione delle sue operazioni militari, perché non si offre un super-budget al Pentagono per rimanere inoperoso. Comunque, visto il declino ulteriore degli USA, dubito che Biden intraprenderà chissà quale guerra: il mondo attuale non è più quello del 2008 e neanche del 2012.
Mi sembra un’analisi incompleta perché non nomina nemmeno il tema della migrazione, secondo me una delle principali differenze tra destra e sinistra in tutto l’Occidente. Paradossalmente, la destra a favore di una riduzione dell’immigrazione farebbe con questo gli interessi delle classi basse e dell’ambiente (limitando la crescita della popolazione in paesi già gravemente sovrappopolati) più di una sinistra nominalmente pro-lavoratori e pro-ambiente, ma che in realtà non affronta uno dei fattori principali nell’abbassamento dei salari e l’unico responsabile della crescita demografica in Occidente.
A quanto leggo, Trump ha limitato un po’ l’immigrazione negli Stati Uniti, e questo è piaciuto a parte delle classi lavoratrici (non solo bianche) che si sono trovate con meno competizione. Secondo me un errore comune, sia in una direzione che nell’altra, è paragonare le relazioni razziali americane a quelle europee. In America i neri sono presenti da secoli, non sono, in gran parte, immigrati recenti ma cittadini autoctoni; anche molti ispanici hanno sostenuto Trump o per conservatorismo sociale (cubani, venezuelani, mi sembra) o perché si trovano in diretta competizione con l’immigrazione più nuova. La situazione in Italia, dove tutta l’immigrazione è molto recente, è diversa, quindi le loro questioni razziali non sono le nostre. Con una generica accusa di “razzismo” si mette a tacere qualsiasi dibattito sugli impatti dell’immigrazione, anche dove il colore della pelle di chi entra è spesso più chiaro di quella di chi c’è già.
Grazie del commento. In effetti il tema dell’immigrazione ha un rilievo politico preminente, molto maggiore del suo impatto economico ed ambientale reale che, comunque, non è trascurabile. La questione è per questo trattata da tutti i soggetti coinvolti esclusivamente in funzione della propria propaganda e non in funzione di mitigare un problema che oggi è rilevante, domani sarà drammatico. In passato su questo blog ne abbiamo parlato, ma forse sarebbe utile rilanciare la questione.
Secondo me sì, perché in Italia e quasi ovunque la questione è ancora in mano a due schieramenti contrapposti ed entrambi disonesti; da un lato usano la parola “razzismo” a sproposito per zittire qualsiasi obiezione, nascondono l’evidenza o fanno proiezioni sul futuro irrealistiche e fantasiose; nel campo opposto, quello della Lega, si fingono “razzisti” quando i propri elettori sono spesso i primi ad approfittarsi della manodopera straniera, oppure fanno grandi proclami che non hanno nessuna intenzione di attuare.
A questo proposito è interessante la questione ad esempio in Sud Africa, dove c’è un’enorme ostilità contro gli immigrati neri da parte di sudafricani neri a loro volta. Gli esseri umani trovano così tanti modi per avercela gli uni con gli altri quando le cose vanno male, se non è la “razza” è la religione, la politica, l’ideologia, la nazione…. così come la schiavitù, l’immigrazione può avere un colore ma può anche non averlo. Per i temi trattati su questo blog, penso che le questioni economiche, ambientali e al limite sociali siano più importanti di quelle identitarie, che comunque hanno un certo rilievo (sia a destra che a sinistra, solo in modo diverso).
Non era questo lo scopo dell’articolo, bensì cercare di capire in che cosa consista il Trumpismo al di là della folkloristica figura dell’oramai prossimo ex presidente.
E’ la stessa destra che progetta la flat tax e/o maxi detassazioni per i più ricchi, costringendo quindi a tagli di welfare, e che nega o sminiuisce il riscaldamento globale e fa a pezzi la legislazione ambientale, quindi fatico a vederla come favorevole all’ambiente. Che poi la sinistra sia ‘ipocrita’ su questi temi è un altro paio di maniche.
Non l’ho fatto. Sono convinto che razzismo e discriminazione siano un elemento fondamentale per il governo capitalista, questo sì.
1. L’immigrazione era una parte importante del trumpismo, sia dal punto di vista dei sostenitori che dei detrattori (ricordiamoci ad esempio il muro, il Muslim Ban, la storia della separazione dei bambini dalle famiglie, e certe modifiche se non erro al diritto di asilo).
2. Cosa c’entra il welfare con l’ambiente? Mi sembra sempre la stessa storia: un solo pacchetto, prendere o lasciare.
Non penso assolutamente che la destra, qui o in America, sia in maggioranza “favorevole all’ambiente”, ma di sicuro far entrare infinite persone in paesi già sovrappopolati è la cosa peggiore che si possa fare in questo momento per l’ambiente, perché aumenta inquinamento, consumi totali, distruzione degli habitat, e fornisce una valvola di sfogo all’eccesso di natalità nei paesi di provenienza. Sull’ambientalismo di sinistra ho poi dei dubbi. Si basa sulla crescita economica, su energie rinnovabili dall’enorme impatto ambientale, e, in Italia, se facciamo al Pd la gentilezza di considerarlo di sinistra ricordiamoci che sono strenuamente pro Tav.
3. Il mio era un discorso generale. Aggiungo che potremmo anche smettere di considerare la “discriminazione” una parola negativa: in fondo discriminare secondo criteri giusti è giusto, per esempio non trattiamo anziani, disabili o donne incinta allo stesso modo degli altri. Discriminare nei confronti di un gruppo è sbagliato solo se si basa su presupposti ingiusti, ma non come cosa di per sé. Penso sia uno dei cliché di cui dovremmo liberarci.
Finché la polemica si basa sul merito degli argomenti e non si trasforma in illazioni e attacchi personali non ho il minimo problema.
1. Proprio perché non penso che poi sulla questione immigrazione i rivali di Trump fossero troppo diversi (e meno che mai i predecessori repubblicani: il muro con il Messico non è stato progettato sotto Trump e non mi pare sia stato mai bloccato dai Dem), non sento questo elemento particolarmente peculiare del trumpismo; ma è una mia idea.
2.
Si parlava di Trump a favore della classe lavoratrice, ho fatto notare che se può averla favorita limitando l’immigrazione l’ha sicuramente sfavorita con una politica di maxi-detrazioni fiscali a vantaggio dei più ricchi e tagli al welfare. La limitazione dell’immigrazione può diventare una variabile valida sul piano ambientale se persegui un piano di decarbonizzazione e limitazione dei consumi, cosa ben lontano da quanto voleva fare Trump: bloccare i messicani con il Muro è totalmente inutile per l’ecologia se poi fai a pezzi la legislazione ambientale, incentivi le fossili e trivelli l’Alaska e aree naturalistiche protette. Per il resto, su questo blog e quello di Decrescita Felice Social Network può trovare miei attacchi durissimi contro il PD e la sinistra in genere, quindi la mia critica a Trump e alla Destra non vuole portare acqua al mulino di nessuno.
3. Nel capitalismo il razzismo è una sorta di ‘integrazione per discriminazione’: accetti al tuo interno delle persone per fungere da manodopera a basso costo, quindi è importante creare un clima di stigmatizzazione negativa per non farli uscire dalla condizione di subalternità. Per me si tratta di una discriminazione basata su presupposti ingiusti, ma esiste il relativismo etico e immagino che per molti possa apparire come la cosa più giusta del mondo.
No, non penso che in questo caso sia giusto, ovviamente, per quello dico che la critica all’immigrazione di massa non dovrebbe basarsi sulla presunta inferiorità degli immigrati (a cui secondo me davvero pochi credono, tra l’altro), ma sui suoi effetti.
Il capitalismo americano però ha trovato l’antidoto anche a quello che tu descrivi, con un grosso aiuto da parte della sinistra e delle sue politiche identitarie: anziché costruire una società giusta per tutti, si festeggia il fatto che alcuni rappresentanti di minoranze (razziali, etniche, di genere…) raggiungano i vertici in vari campi, mentre la struttura iniqua della società resta la stessa per tutti i gruppi presenti nella società. Anche in Italia si è cominciata con la manfrina delle donne ai vertici (e lo dico da donna), dimenticando che se c’è qualcuno ai vertici c’è un sacco di gente sfruttata sotto, donne E uomini.
La smetto perché queste colonnine dei commenti stanno diventando veramente strette da leggere 🙂
Avrei tante cose da commentare, che mi limito invece a ricondurre alla seguente “mozione d’ordine”.
Non sarebbe meglio, anzichè collegarsi ad una circostanza specifica per parlare di tutto, parlare di una sola questione per volta? Capisco che tutto si lega, ma poi ti vengono tante cose su cui discutere… che alla fine non rimane granchè di razionale.
L’alternativa è che ogni commentatore (me compreso) scriva 4-5 posts suoi e aumenti l’entropia del blog. Io mi accontenterei di veder splittati in vari posts i contributi degli attuali autori: non secondo i pretesti (in questo caso, il dopo-elezioni USA), ma secondo i filoni di riflessione.
Queste dinamiche non sono secondarie, quando poi ci si ritrova a piangere perchè ci si parla addosso senza costrutto e senza ampliare la platea dei lettori.
@ Gaia Baracetti
Concordo in larghissima parte con i tuoi commenti.
Tuttavia, la narrativa trumpiana dell’invasione sud-americana degli USA è IMHO spazzatura.
1-Il Messico non è il paradiso, ma di certo non si schierebbe con gli invasori, ma punterebbe a controllare Panama per bloccare militarmente l’invasione fuori dai suoi confini, mentre l’US Navy dominerebbe il Golfo del Messico per evitare migrazioni via mare. Quindi la narrazione trumpiana è inconsistente dal punto di vista militare, se mai esistesse una minaccia per il nord America, il Messico è nord America: sarebbe un alleato fedele e prezioso per USA e Canada.
2.Sopratutto, non esiste nessun rischio di migrazione apocalittica dal Sud America al Nord America.
Lo dice la demografia: non esiste la bomba demografica in Sud America!
Sud America: oggi 430.7 MLN
Sud America: 2050 491 MLN
https://www.populationpyramid.net/south-america/2019/
Nord America: oggi 368.8 MLN
Sud America: 2050 418 MLN
https://www.populationpyramid.net/northern-america/2019/
La narrazione trumpiana è quindi propaganda, che s’appoggia su paure irrazionali e retaggi razzisti e sopratutto tanti vapori di birra e whisky che annebbiano il cervello dell’americano medio.
3.In Sud America nessuno migrerà da nessuna parte, e nessuno (nemmeno in Argentina) hanno intenzione di portarsi a casa immigrati clandestini africani. La chiusura del Perù, che non è un paese ricchissimo ma ha difeso il proprio reddito procapite, nei confronti di un po’ di venezuelani, dice tutto sul futuro del XXI secolo tra i rapporti tra sud America ed Africa, divisi da un oceano Atlantico invalicabile.
4.Il colore della pelle non è un tema del XXI secolo. C’è da chiedersi perchè Chiesa Cattolica lo sventoli continuamente, per oppiare il senso critico degli italiani. La risposta IMHO è nella razionalizzazione del III°segreto di Fatima
https://youtu.be/8gMvWsKyDhQ
5.E’ infatti, cosa ben diversa è la bomba demografica africana.
Oggi 1.3 MLD
Nel 2050 2.4 MLD
https://www.populationpyramid.net/africa/2020/
La bomba demografica africana è una minaccia reale e presente alla sopravvivenza del popolo italiano nel XXI secolo, perchè c’è sovrappopolazione in Africa, perchè ci sono gli impatti da danni da cambiamento climatico, e perchè ci saranno tutti i problemi che emergeranno dall’intrecciarsi di questi due megatrend.
Marco, non dimenticarti che il Pakistan ha più di duecento milioni di abitanti e un’alta fertilità, disoccupazione, acqua che scarseggia e conflitti, e il Bangladesh sta rapidamente finendo sott’acqua. Qui in Friuli Venezia Giulia si vedono tantissimi sud-asiatici infatti, quasi solo giovani uomini in cerca di lavoro. Anche i paesi arabi sono messi male come ambiente ed economia, e hanno tassi di fertilità più o meno alti e comunque più alti dei nostri.
Qui non si tratta di razzismo, ma di chiedersi quali saranno le conseguenze di flussi così ingenti di persone, già un problema adesso, e destinati ad aumentare. Anche il fatto che provengano da una cultura così diversa non è ininfluente, non si tratta di decidere chi è meglio o peggio ma è ovvio che convivere tra culture molto diverse è difficile. La religione e quello che si può e non si può dire, la condizione delle donne, le aspettative di qualità della vita, persino l’alimentazione – i prodotti fondamentali della nostra regione per loro sono tabù, eccetera. Si parla tanto di “multiculturalismo” ma poi ci si comporta come se le culture fossero interscambiabili! Parlando con persone che lavorano nei centri di accoglienza (praticamente l’ammortizzatore sociale è diventato far lavorare i giovani italiani lì) ti accorgi di quanti problemi reali e potenziali stiano sorgendo. I media non aiutano: si dice che aumentano “l’intolleranza”, ma in realtà insabbiano parecchio proprio per non scaldare gli animi, ma questo non vuol dire che le cose non stiano succedendo! Mi sembra incredibile essere proprio io, che mi considero di sinistra, a dire queste cose, ma la realtà viene prima dell’ideologia. Furti, stupri, spaccio… è chiaro che persone che hanno bisogno di guadagnare e che si trovano in condizioni molto difficili faranno queste cose!! La situazione sta rapidamente peggiorando.
Purtroppo la politica attuale è quella dell'”integrazione”, cioè del fare il possibile per formare queste persone e dargli il modo di stare qui. Peccato che sia molto ingiusto davanti a una disoccupazione autoctona altissima, e che comunque molti di questi immigrati finiscano per lavorare in modo illegale per vari motivi.
Tutto questo viene spacciato per “umanità”, ma a me sembra disumano al massimo. Fa male a chi viene e fa male a chi è già qui. E ci costa tantissimo.
@ Gaia Baracetti
Quando Mr.B era al governo, non ho mai votato Mr.B ma nemmeno il PD, votavo Di Pietro.
Poi sono passato a votar CDU perchè non sono mai stato di sinistra.
Mr.B non è mai un rappresentante di una destra moderna (Dio, Famiglia, Nazione).
Del PCI-PDS-DS IO non mi sono mai fidato: il lupo cambia il pelo ma non il vizio.
Andai alle primarie per Prodi, solo perchè speravo rifacesse la DC, ma in Europa Prodi ha solo distrutto tempo prezioso per l’Italia, boffonchiando frasi leniniste senza senso.
Sottoscrivo in pieno quello che scrivi.
L’idea della CED-DeGasperi nacque in un pezzetto minoritario della DC, ma la DC s’è estinta da tempo.
Il panorama politico odierno è completamente diverso dal 1947.
PCI-PDS-DS e +Europa non hanno mai voluto la CED: non hanno mai recuperato il pensiero DeGasperiano, perchè sono leninisti.
PCI-PDS-DS e +Europa chiedendo un welfare europeo e la condivisione del debito pubblico italiano sul groppone europeo, persistendo nella redistribuzione d’immigrati clandestini che in Europa sono migranti economici senza diritti, de facto bloccano l’evoluzione UE in USE e non sminano la bomba demografica africana, ma catalizzano le migrazioni africane accelerando GP2.
Anni fa ebbi ad andare a qualche incontro della fondazione de Gasperi a Livorno, sperando che il relatore parlasse della CED e del XXI secolo, invece fu tempo perso, l’incontro era chiuso e limitato al 1947. Feci notare che ragionare del 1947 era tempo perso: non s’era andati sulla Luna, non c’era ancora la NATO, non c’era l’Euro, la Cina non era nel WTO, nessuno all’epoca sapeva niente del Climate Change e della bomba demografica africana, insomma che si dovevano dare una svegliata perchè ragionare del 1947 non serviva a niente!. Fu tempo perso, un buco nell’acqua…
Rufolando in internet, e mentre appiccicavo manifesti per il CDU, un giorno scoprii per caso un manifesto del 1947 dell’MSI che sosteneva la CED DeGasperi. Andai su internet a documentarmi… ed era vero.
https://www.iltempo.it/politica/2015/09/16/news/almirante-il-profeta-delleuropa-sovrana-988022/
In teoria, FdI è l’unica forza politica che oggi forse, potrebbe volere la CED-DeGasperi.
Fdi sta nel PPI, FdI è figlia di AN, ossia FdI è il nipote di MSI (che strano ma vero, nel 1947 una minoranza neofascista per breve tempo, pare che sostenne la CED DeGasperi per opporsi al PCI, salvo poi svoltare sullo Stato Nazionale).
http://siba-ese.unisalento.it/index.php/itinerari/article/download/18930/16187
E’ l’unica vana speranza che un brandello di DNA-razionale DeGasperiano, possa emergere in questo delirio da manicomio schizzoide del XXI secolo, dove il collasso dell’Italia è ormai inevitabile
http://lafrecciadellastoria.blogspot.com/2017/07/gli-italiani-sono-bolliti-ma-ancora-non.html
Pragmaticamente l’Italia farà default oppure
l’Italia farà default+ITALExit→collasso in Nuovo Medioevo oppure
l’Italia farà ITALExit→collasso in Nuovo Medioevo.
La Meccanica Quantistica 🙂 regna sovrana in Economia e nella Geopolitica, nel lungo periodo i fatti storici dimostrano che tutte le superposizioni possibili si verificano: inclusa Chiesa Cattolica che bolla in neonazista reazionario il pensiero deGasperiano della CED, perorando la sostituzione etnica del popolo italiano.