Articolo già pubblicato con qualche modifica su “Effetto risorse” col titolo: “Emergenza climatica, e poi?” il 7 settembre 2019.
Sull’onda delle proteste di piazza, un numero crescente di governi e di amministrazioni sta formalmente dichiarando la stato di “Emergenza Climatica”. Bene, ma 40 anni di esperienza nella trincea dell’ambientalismo mi hanno insegnato a diffidare.
“Stato di Emergenza” significa che la collettività deve affrontare un pericolo troppo grande e immediato per potersi permettere di funzionare secondo le proprie consuetudini. I normali processi decisionali ed i diritti individuali sono quindi ridotti o sospesi per permettere ad un autorità investita di poteri straordinari di prendere decisioni anche estreme senza doverle passare al vaglio degli organi istituzionali e dell’apprezzamento popolare. Un po’ come quando nella Roma repubblicana si nominava un “dictator” che per un massimo di 6 mesi decideva il da farsi senza dover rendere conto a nessuno; nemmeno ai consoli ed ai senatori che lo avevano nominato.
Operativamente, l’estrema gerarchizzazione aumenta il rischio di errore, ma riduce i tempi di reazione. Dal punto di vista evolutivo si afferma quindi in tutti quei casi in cui agire e reagire in fretta è talmente importante da essere comunque vantaggioso, anche a costo di errori potenzialmente gravi. Tipicamente durante le catastrofi naturali, le guerre, gli attacchi terroristici, ecc. Insomma: “A mali estremi estremi rimedi”.
Nel nostro caso, vorrebbe quindi significare che governi ed amministrazioni nominano dei commissari che dall’oggi al domani impongono provvedimenti atti a limitare il peggioramento del clima ed a ridurre le emissioni di CO2 e assimilate. Ma non sta accadendo, anzi. Molte delle amministrazioni che hanno formalizzato la dichiarazione di “Emergenza Climatica” stanno poi lavorando attivamente non per mitigare, ma per peggiorare il più rapidamente possibile la situazione. Per esempio, l’ Amministrazione Regionale Toscana sta alacremente smantellando le aree protette, sviluppando l’industria del legname e delle cave, vuole ampliare l’aeroporto di Firenze, costruire una nuova autostrada e molto altro ancora. Più banalmente, è nocivo al clima ogni sindaco che abbatta alberature invece di piantarne, che permetta di estendere la superficie urbanizzata invece di ridurla e via di seguito.
Dunque, se vogliamo evitare che l’intera faccenda si risolva in un nuovo giro di “greenwashing” analogo a quelli che, nei decenni scorsi, hanno svuotato di significato tutti gli slogan e le proposte degli ambientalisti, bisogna essere pronti a fare richieste precise agli amministratori ed a sbugiardarli pubblicamente se non le ottemperano. Ma quali richieste si possono fare che siano ad un tempo utili e realistiche?
Ogni comune ed ogni regione ha le proprie peculiarità e priorità, ma in linea del tutto generale, suggerisco di puntare soprattutto alla salvaguardia di ciò che resta della Biosfera. Non è una questione di “benaltrismo”: tutto è collegato ed importante, ma ci sono almeno 3 ragioni per cui il focus sulla biosfera è secondo me da preferire a quello sulle emissioni:
1 – La trama e l’ordito della Vita sono i cosiddetti “cicli bio-geo-chimici”, cioè i flussi dei vari elementi attraverso aria, acque, suoli, rocce ed organismi viventi, con questi ultimi che, in buona sostanza, svolgono il ruolo principale nel controllo di questi flussi. Il Global Warming, per esempio, deriva sostanzialmente da un’alterazione nei cicli del carbonio e dell’acqua. Proteggere/restaurare la Biosfera avrebbe quindi effetti indiretti e parziali, ma sicuri sul clima. Di più: tutte le forme di inquinamento sono, parimenti, modifiche della circolazione di elementi e molecole e, sula Terra, esiste un unico processo in grado di ridurre la crescente entropia del pianeta: si chiama “fotosintesi”. La Biosfera è insomma ciò che garantisce che sul pianeta vi siano condizioni compatibili con la vita. E la biosfera è esattamente quella cosa che stiamo sistematicamente distruggendo in molti e immaginifici modi, anche nei paesi che hanno emissioni trascurabili.
2 – Interventi di salvaguardia della Biosfera sono possibili a qualunque scala, dal balcone di casa propria agli accordi internazionali ed ad ogni livello è possibile registrare un miglioramento, magari minimo, ma apprezzabile. Già smettere di fare danni (tipo demolire alberature, costruire a vanvera, tagliare boschi e manutenzionare fossi con criteri vecchi di 100 anni) sarebbe un miglioramento. Ogni singola amministrazione e governo, per quanto piccolo, può quindi fare la sua parte senza aspettare che Trump, Xi Jinping o altri “pezzi da 90” facciano la loro. Certo parliamo di gocce nel mare, ma lo studio del passato ci insegna che molte specie, fra cui forse anche la nostra, sono sopravvissute ad immani catastrofi grazie a piccole popolazioni fortunosamente scampate in qualche posto.
3 – Sul piano politico, interventi di tutela o ripristino della biosfera costano pochissimo, possono essere relativamente facili da far accettare alla popolazione e possono dare risultati parziali, ma visibili, anche in tempi brevi. Per esempio la realizzazione di un’area protetta o di uno stagno sono poco costosi, sicuramente efficaci e immediatamente visibili. Altri provvedimenti, come ad esempio un drastico cambio di rotta nelle pratiche agricole e nelle sistemazioni fondiarie, sarebbero più impegnativi, ma sempre meno di quelli che potrebbero riuscire a flettere la curva delle emissioni antropogeniche di CO2, metano, eccetera.
Dunque dovremmo abbandonare l’idea di ridurre le emissioni climalteranti? No, ma bisogna essere realistici su ciò che si può effettivamente ottenere dalle amministrazioni e dai governi.
Per essere minimamente efficaci, dei provvedimenti di riduzione delle emissioni dovrebbero comprendere, tanto per cominciare, il razionamento di carne, acqua, combustibili e molti altri generi di prima necessità, la sospensione di quasi tutti i cantieri pubblici in atto o previsti, la drastica riduzione dell’illuminazione pubblica e dei trasporti, eccetera. Tutti provvedimenti che susciterebbero violente proteste che dovrebbero essere represse senza troppe discussioni perché, per l’appunto, siamo in emergenza e la sopravvivenza stessa dello stato, oltre che di molti cittadini, è in forse. (Già sento echeggiare “ecofascista” in lontananza, ne riparleremo).
Ovvio che non accadrà, al massimo vedremo qualche operazione di facciata, un po di investimenti “green” e qualche nuova tassa tesa non già a ridurre le emissioni, bensì a tappare temporaneamente qualche buco negli stracciati bilanci pubblici. Vedo almeno 4 ragioni per aspettarmi questo:
1 – I movimenti che chiedono provvedimenti drastici e rapidi in materia di clima sono una nicchia molto minoritaria, assurta agli onori della stampa solo in Occidente; nel resto del mondo sono assenti o politicamente insignificanti. La netta maggioranza della popolazione mondiale rivuole la pacchia che aveva o vuole la pacchia che non ha mai avuto.
2- Mentre azioni dirette sulla biosfera possono essere efficaci anche a livello locale, azioni dirette sulle emissioni climalteranti possono dare risultati solo se hanno effetti globali e, grosso modo, il 40% delle emissioni antropogeniche sono prodotte da due paesi: Cina e USA. Circa un altro terzo collettivamente da UE (considerata nel suo insieme), Russia, India e Giappone. Il rimanente dagli altri cento e passa paesi del mondo. Questo significa che solo se USA e Cina si impegnassero a fondo sarebbe efficace anche un impegno da parte nostra, assieme a russi, indiani e giapponesi. Tutti gli altri paesi potrebbero invece fare quel che gli pare o quasi (da questo specifico punto di vista, non da altri come la demografia e la distruzione di ecosistemi). Dunque, sapremo che qualcosa si muove sul serio il giorno in cui smetteremo di perdere tempo con le “COP 21”, “22”, ecc. per fare degli accordi operativi e vincolanti fra 10 governi.
3 – Nessun paese ridurrà volontariamente le proprie emissioni perché ciò implicherebbe ridurre la propria dissipazione di energia, cioè rallentare il progresso tecnologico, indebolire l’industria, perdere posizioni nella scala geopolitica. E’ una faccenda molto complicata e parlarne ci porterebbe ampiamente fuori tema, ma è un fatto che l’accumulo di ricchezza, potere ed informazione richiede di dissipare quantità crescenti di energia. Anche solo mantenere i livelli attuali richiede quantità crescenti di energia.
4 – Azioni di riduzione delle emissioni abbastanza incisive e rapide da avere un possibile effetto climatico provocherebbero una drastica riduzione degli standard di vita occidentali e non solo, oltre ad una crisi economica globale dagli incerti sviluppi a fronte di un risultato che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un peggioramento meno sensibile di quello che altrimenti avremmo di qui a 30 anni. Non ci sarebbe nessun successo visibile per un comune cittadino sia per effetto dell’inerzia del sistema Terra, sia per le retroazioni positive che oramai abbiamo scatenato (esalazioni dallo scioglimento del permafrost, incremento delle siccità e degli incendi, riduzione dell’albedo sui poli, ecc.).
In pratica, solo la crisi economica del 2008 ha portato ad una lieve e temporanea flessione delle emissioni e solo una eventuale e molto più severa crisi ventura le potrebbe ridurle in misura maggiore. Aspettando con timore e trepidazione che ciò accada, occupiamoci quindi di salvare il salvabile della Biosfera perché il futuro del Pianeta, con o senza di noi dipende da cosa sopravvivrà all’estinzione di massa in corso.
C’è un aspetto che spesso manca nelle considerazioni di molti ecologisti, e in questo anche Jacopo pare non differenziarsi. Le guerre moderne e la geopolitica che ne fa strumento principe, per quanto spesso almeno un po’ dissimulato.
E’ per il loro (delle guerre possibili o in atto) stagliarsi sullo sfondo che gli sforzi di adattamento e mitigazione ai CC, fatti a livello di dialogo internazionale, non sono solo chiacchiere. Per carità, lo sono ed è molto evidente. Chi lo negasse non andrebbe solo in direzione opposta a Greta: remerebbe comunque forte a favore del vento dell’ipocrisia. I piccoli passi ci sono, ma su un tapis roulant che corre ben più veloce. Nondimeno, è una benedizione che si chiacchieri e non si combatta davvero.
Se vogliamo essere ipocriti anche noi, possiamo pure pensare che le guerre siano grandi produttrici di co2 e vadano perciò stesso osteggiate. Se così è, allora è solo faccenda di rendere meno inquinanti le bombe e i carrarmati. Qualcuno ride sornione, e fa bene dal suo punto di vista. Ha le astronavi ormai pronte, e confida che al momento opportuno… Intanto, ci si mostra come le armi diventino superautomatizzate e supermirate. Avete ancora paura delle stragi? Ma dai, questi sono più avanti, mica sono fermi alla II guerra mondiale: pensate alla guerra supertecnologica in Yemen, che di morti ne fa meno di zero (si uccidono solo i topi)!
Ma noi non siamo così scemi. Siamo dunque pronti per fermare i pazzi peggiori, che quando la lotta si farà dura saranno a loro volta già pronti a condurre le loro guerre.
Essere pronti, per noi (noi chi? fate vobis, non è questo il punto), significa anche capire e cogliere i momenti in cui le guerre vivaddio non sono all’orizzonte, forse anche grazie alle chiacchiere. Quando non sono in vista almeno per noi, possiamo anche lambiccarci e dire ai “gretini” che sbagliano obbiettivo: la biosfera è meglio della co2. Ma è un lambiccarci, appunto: quando le chiacchiere dovranno lasciare il posto alle scelte davvero più radicali, non si tratterà più solo di spostare l’obbiettivo ambientalista. Si tratterà di difendere la vita sull’immediato, contro la più imperiosa e radicale delle scelte di morte: la guerra appunto. La quale brucia alla radice tutte le scelte di sostenibilità, anche quando pare solo concime organico. Le brucia tutte, a meno che non siano pensate per una sola -piccola o grande ma comunque potente a livello geopolitico- parte dell’umanità.
Se le lasceremo bruciare, anche chi resterà non avrà vita vera su questo pianeta (e alquanto probabilmente neanche fuori). Ecco perchè l’obbiettivo della biosfera è l’Obbiettivo con la “O” maiuscola, non quello da contrapporre alle (magari superficiali, chissà) idee ambientaliste oggi in voga. In quanto tale, alimenterà le radici. Non taglierà i pochi rami che nel frattempo tenteranno di gemmare malgrado i veleni. Impedirà piuttosto, per quanto possibile, l’avanzare del cemento che uccide. Anche allargandone le crepe laddove c’è già.